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Ddl Concorrenza: cosa sì e cosa no…l’opinione di Rita Faletti

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La concorrenza è uno dei fattori principali di crescita di un paese, è la condizione indispensabile perché le imprese che operano sul territorio competano tra loro per offrire servizi e prodotti qualitativamente sempre migliori, tecnologicamente avanzati e a prezzi inferiori, a vantaggio dei cittadini. Il contrario del monopolio, una situazione di mercato caratterizzata da un solo soggetto che detiene il controllo del mercato non avendo concorrenti, con il risultato che sarà lui a stabilire qualità e prezzi. Una legge efficace sulla concorrenza è quello che ci chiede da tempo l’Europa e quello che i governi che si sono avvicendati si sono ben guardati dal mettere in campo, preoccupati di dover contrastare gli interessi costituiti e l’uso disinvolto delle municipalizzate, imprese di diritto pubblico attraverso le quali i Comuni gestiscono i servizi di pubblica utilità, spesso trasformate in penosi ammortizzatori sociali. Le municipalizzate di Roma sono un esempio eloquente di deficit e sprechi spaventosi costati 440 milioni di euro negli ultimi 3 anni. Ma la Capitale è in buona compagnia: altri 1750 comuni sono a rischio fallimento, distribuiti al 91 per cento al Sud. Carenza di professionalità, clientelismo, opacità, disattenzione ai bilanci sono le cause principali, ma finora nessuno ha voluto metterci mano. In Italia tutti si conoscono, come si fa a scontentare qualcuno? Eppure una soluzione ci sarebbe, si chiama concorrenza. Una parola sgradita a chi ritiene che sia la causa principale dell’attuale crisi economica mondiale, consentendo agli individui e ai Paesi economicamente più solidi di ridurre in povertà gli individui e i Paesi economicamente più deboli. E’ l’esatto contrario: i mercati più competitivi e vivaci favoriscono una distribuzione più efficiente della ricchezza e stimolano investimenti pubblici di cui tutti sono beneficiari. Ma tant’è. Il governo Meloni sembra poco deciso a far fronte agli impegni assunti con Bruxelles in tema di concorrenza. Il disegno di legge per l’anno 2023 è poco incisivo e il messaggio rivolto al consumatore dà l’impressione che l’esecutivo abbia scelto di inseguire il passato piuttosto che preparare il futuro. In fatto di cibo, ha bocciato la carne sintetica a favore del bovino nazional popolare, come se la produzione di carni italiane fosse sufficiente a soddisfare le richieste di tutti i consumatori e soprattutto senza fornire spiegazioni scientifiche, ma con la motivazione ingiustificata che il cibo sintetico sarebbe causa di maggiori ingiustizia sociale, disoccupazione e rischi per l’ambiente. Condivisibile invece il nuovo codice degli appalti, che ha sollevato le critiche dell’opposizione in merito all’affidamento diretto e alla procedura negoziata tra i contraenti per il rischio di corruzione. Facendo un passo indietro per chiarezza, occorre specificare che il nuovo codice riguarda le infrastrutture di cui il paese ha un gran bisogno, ma su cui gli investimenti sono rallentati. Esso rispecchia la normativa europea che stabilisce che oltre la soglia di 5 milioni di euro per gli appalti di opere e concessioni, le amministrazioni sono tenute a ricorrere alle gare. Al di sotto di quella cifra invece, sono ammesse altre modalità concordate tra i contraenti. Qui è insorta l’opposizione, forte anche delle perplessità espresse non nelle sedi istituzionali ma nel dibattito pubblico, dal presidente dell’Anac, sull’eventualità che la scelta non privilegi le imprese migliori ma quelle vicine al dirigente, al sindaco o all’assessore, aumentando così i rischi di corruzione. La soluzione? Intensificare regole e controlli ex ante. La realtà però testimonia del contrario: regole e controlli rallentano la gestione della spesa compromettendo il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti e creando spesa improduttiva, un male italiano. Da notare che, negli ultimi anni, secondo una relazione dell’Anac, si è optato per affidamenti diretti e procedure negoziate al fine di colmare il ritardo accumulato negli investimenti pubblici in infrastrutture. Un ulteriore elemento di perplessità evidenziato dal presidente dell’Anticorruzione riguarda la trasparenza.  Ancora una volta è l’Europa a indicare gli strumenti volti a evitare l’assegnazione di opere a imprese sbagliate. Tra questi, l’obbligo di giustificare la scelta dell’aggiudicatario e il rigetto di altre candidature. Prassi che comporta un cambiamento dei controlli che devono svolgersi dopo la gestione per verificare il raggiungimento degli obiettivi. Questo è lo scopo del nuovo codice che andrebbe completato con indicazioni precise sulle misure organizzative per assicurare il successo, soprattutto all’interno di comuni e regioni, privi, nella maggior parte dei casi, di strutture per la misurazione e la valutazione dei risultati conseguiti e delle competenze e dei compensi dei funzionari.  Si tratterebbe di costringere i comuni a sottoscrivere servizi “in housing” solo nei casi in cui il servizio offerto da una società partecipata dal comune sia più efficiente rispetto a un servizio offerto da una società non partecipata. In un paese che non cresce da vent’anni, contestare una proposta del governo complessivamente migliorativa per puri motivi politici è solo stupido.

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