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La famiglia patriarcale siciliana/5… di Domenico Pisana

Luci e ombre del patrimonio religioso della famiglia tradizionale siciliana
Tempo di lettura: 2 minuti

1. La religiosità

La dimensione religiosa quale posto occupava nell’ethos della famiglia siciliana tradizionale? Per rispondere a questo interrogativo muoveremo la nostra riflessione, differenziando l’ambito della religiosità popolare dall’ambito della fede.
Certo, dall’esame del vissuto religioso della famiglia isolana non sempre risulta possibile e giusta una distinzione così netta; tuttavia, la presenza in esso di infiltrazioni di natura folkloristica, magica e superstiziosa esige un tentativo di demarcazione tra religiosità e fede.
Dalla letteratura sapienziale siciliana emergono due chiari elementi di religiosità:

a) l’atteggiamento trascendente: cioè la predisposizione dello spirito umano del popolo siciliano a cogliere un significato superiore, assoluto e totale nelle cose che esso viveva;
b) la presenza di un mistero oltre la realtà visibile: cioè il riconoscimento di un’entità superiore a fondamento della vita e ordinata ad orientare il destino ultimo dell’uomo.

Nell’ethos familiare tradizionale la religiosità si configurava, quindi, come un insieme di disposizioni psichiche, più o meno spontanee o inconsce, un insieme di sentimenti e di reazioni su cui si era costruita una corretta esperienza di adesione alla religione cristiana, divenuta, quindi, esperienza di fede. E’ pur vero, però, che in diversi casi queste disposizioni naturali degeneravano, dando vita a forme di animismo, di magia e di superstizione.
La religiosità siciliana, anche nelle sue forme di devianza, non si poneva tuttavia, in una posizione dicotomica rispetto alla religione ufficiale; sul piano della prassi sembrerebbe il contrario, in realtà, a livello teoretico, questo tipo di differenziazione è inesistente. Più che di contrapposizione è, dunque, possibile parlare di miscellanea, cioè di un utilizzo dei dati della rivelazione cristiana in una prospettiva mistico-folklorica. In Sicilia, la religiosità familiare tradizionale si muoveva sia nella direzione autentica della spiritualità cristiana, sia nella direzione paganeggiante, a causa del persistere di forme devozionali e magiche all’interno del vissuto familiare.
Tale persistenza, secondo diversi studiosi, sarebbe stata determinata dalle condizioni di marginalità sociale, culturale ed economica in cui a venuto a trovarsi il Sud rispetto al Nord (1)
L’intreccio dei rapporti tra religione popolare e religione ufficiale era il riflesso dell’intreccio dei rapporti di classe in una società determinata, o dei rapporti fra culture e popoli negli incontri interetnici: era un intreccio complicato, fatto di scontri e di assimilazioni forzate, di contrapposizioni esplicite ed implicite, di reinterpretazioni più o meno deliberate. In questo senso è deviante il criterio di assumere la religiosità popolare come univocamente, totalmente e perpetuamente contrapposta a quella della gerarchia (2).
Insomma, possiamo dire che non esiste in realtà una religiosità popolare in sé, come categoria storica universale, né come nozione storiografica autonoma, perché, come già evidenziato, essa si sviluppa come parte integrante e storicamente inseparabile della civiltà da cui emana e, altresì, perché essa è espressione anche di strutture mentali e psichiche che non possono, certo, omologarsi nell’unicità di una categoria(3).

2. Gli orizzonti della religiosità siciliana.

All’interno della religiosità della famiglia siciliana se da una parte è possibile cogliere alcune dimensioni valoriali positive, dall’altra si riscontrano pure dinamiche magiche e superstiziose, come avremo modo di vedere attraverso un excursus delle principali ricorrenze patronali e feste religiose dell’isola.
La superstizione siciliana era, in generale, una inclinazione del popolo ad attribuire ragioni occulte e inspiegabili a fatti ed eventi dimostrabili con cause naturali. Era, altresì, un insieme di pratiche, il cui esercizio operava una degenerazione della autentica vita religiosa attraverso pseudo culti, riti privati, magia e divinazione(4).
Spesso, però, per la mentalità del popolo siciliano la superstizione non era un fatto teso ad offendere Dio, ma un dato culturale rivestito di un’impalcatura religiosa e di una serie di credenze popolari. Né tanto meno si può affermare che nella famiglia siciliana la superstizione fosse originata dalla paura verso Dio. Questa visione è, piuttosto, di origine greca, tant’è che Plutarco scriveva:

“Non così si comporta il superstizioso, il quale anche alla minima disgrazia rimane come pietrificato, aggiungendo alla sua pena un cumulo di altre afflizioni, grandi e terribili, da cui non riuscirà mai a liberarsi, e si procura paure, terrori, sospetti e turbamenti, abbandonandosi ad ogni genere di pianti e lamenti. E di tutto ciò non accusa né gli uomini, né la sorte, né le circostanze, né se stesso: è Dio che incolpa, e dice ch’è da lui che gli si è piovuto addosso quel diluvio di celesti sciagure, e non perché gli sia contro la fortuna, ma perché Dio lo odia, per questo – dice – viene punito e castigato da lui, e però pensa di soffrire giustamente, per qualche colpa commessa” (5). Ed ancora: “Ma per il superstizioso qualunque infermità del corpo, la perdita dei beni, la morte dei figli, la sfortuna e i fallimenti nell’attività politica sono colpi inferti da Dio o assalti di altre divinità” (6).

Nell’ethos religioso della famiglia tradizionale prevalgono il senso della fiducia verso Dio, il concetto del Dio che provvede; quindi, se superstizione si riscontra, essa è frutto di meccanismi psicologici e di suggestività e non, certamente, di paura di Dio.
L’elemento magico, invece, risulta più spiccato. La religiosità del popolo siciliano appariva , infatti, nelle sue varie stratificazioni, contaminata da rituali magici che accompagnavano il suo cammino storico. Uno studio di Ernesto De Martino, “Sud e magia”, ha messo in evidenza, nelle campagne del sud, la sopravvivenza dell’antica fascinazione stregonesca, in connessione con altri tratti magici affini, quali la possessione e l’esorcismo, la fattura e la controfattura. Dall’analisi demartiniana emergono le motivazioni del bisogno magico e le sue espressioni rituali(7).

3.La festa: dinamiche sociali, struttura e simbolismo

L’espressione tipica della religiosità della famiglia siciliana era la festa. L’interpretazione del fenomeno “festa” è, certamente, complessa; noi cercheremo di capirne la struttura, la funzione e il significato. Nella cultura siciliana la festa aveva due connotazioni ben precise:

a) una connotazione di ordine psicologico: la famiglia viveva un “sentimento di festa”, creava un’atmosfera partecipativa che aveva spesso una funzione catartica;
b) una connotazione istituzionale: ogni festa comportava una organizzazione comunitaria a seconda dell’occasione e della natura religiosa, sociale, civile della festa (8).

Circa il significato attribuito alla festa, l’interpretazione degli studiosi di fenomenologia religiosa è variegata. Kerényi, ad esempio, sostiene che “nella festa si scopre il senso dell’esistenza quotidiana, l’essenza delle cose che circondano l’uomo e delle potenze che operano nella sua vita” (9), mentre Clara Gallini, partendo dal presupposto che il processo di socializzazione instaurato dalla festa produce effetti catartici, arriva alla conclusione che nella festa “diventa significante il fatto di condividere, in massa, una comune presenza fisica” (10).
In senso spiritualista si muove l’interpretazione di Mircea Eliade. Questi, nel sottolineare “la contrapposizione del tempo sacro (festivo) e del tempo profano (ordinario), finisce per assolutizzare il valore del tempo sacro come occasione suprema di liberazione, da parte dell’uomo, dai limiti della condizione esistenziale, per fare un salto di livello ontologico verso l’assoluto. Dunque, anche Eliade astrae il fenomeno-festa ed il tempo sacro, in cui la festa religiosa si colloca, dal contesto storico globale entro cui esso si manifesta e a cui funzionalmente si lega. La sua è una visione adinamica, idealistica, spiritualista che pur muovendo da un’importante scoperta – il rapporto ascendente dal profano verso il sacro – finisce col perdere di vista il momento discendente che porta dal sacro al profano” (11).
Noi riteniamo, d’accordo con Vittorio Lanternari, che “la festa di per sé, non è né fuga né contestazione; il suo ruolo non è di per sé, né di conservazione né di trasformazione, perché tiene incorporati elementi di entrambi gli ordini. Ma, caso per caso, nella realtà effettiva la festa finisce per caratterizzarsi come istituzione tendenzialmente evasionista o conservatrice, o piuttosto dinamica, contestativa e trasformatrice, a seconda che prevalgano in essa componenti d’ordine mitico-rituale, o al contrario componenti sociali e civili, benché l’interpretazione dei due ordini di componenti entro un unico complesso festivo sia una caratteristica tra le più frequenti”(12).
Ad ogni modo, se ci chiediamo quale sia la struttura antropologica della festa nella cultura popolare siciliana, pensiamo che essa possa racchiudersi nei seguenti aspetti:

a)il valore della socialità: la festa era ritenuta “luogo di socialità”, di convivialità, di visite familiari reciproche;
b)l’atmosfera della partecipazione: la festa determinava sempre il richiamo di folle di fedeli in pellegrinaggio. In occasione di feste patronali paesane, tutta la popolazione locale accorreva e partecipava in massa, con manifestazioni corali di esultanza, di fervore e di passionalità nell’invocazione di grazie, e di mortificazioni in segno di totale dedizione(13);
c) La dimensione del rito: nella struttura della festa la famiglia tradizionale riusciva a cogliere il contenuto dei riti simbolici, ai quali si sottoponeva, consumando, spesso, atteggiamenti magici e superstiziosi. “Distruggere oggetti in disuso nel Capodanno, nettare le abitazioni in occasione della Pasqua, saltare sui fuochi all’aperto durante la notte di San Giovanni, o anche nella medesima notte indulgere, in gruppo, in un bagno nel mare o nel fiume: sono altrettanti simboli rituali già carichi di efficacia apotropaica, coi quali si eliminavano infausti influssi per mezzo del fuoco, dell’acqua, della distruzione o eliminazione, purificando col bagno e col fuoco le persone onde avviarsi in purezza e liberi da influenze malefiche ai compiti del nuovo ciclo annuale”(14);
d) il simbolismo dell’antiquotidiano: la festa faceva entrare nell’ethos familiare una sorta di dualità festa-quotidianità. In sostanza, la festa annullava simbolicamente il mondo non festivo come esperienza globale, attuava un “mondo alla rovescia”. A riguardo il Brelich scrive:

“Durante le feste vigono norme di comportamento differenti da quelle abituali; ciò che è normale o anche obbligatorio nei giorni comuni – per esempio il lavoro – può essere proibito nelle feste; durante le feste ci si veste diversamente, si mangia (o si digiuna) diversamente che nei giorni comuni; certi tabù valgono solo per le feste; altri vigenti sempre, possono essere sospesi proprio per le feste. ecc. La festa è “fuori del tempo”: mentre nel tempo profano ogni giorno è diverso dall’altro, una festa è concepita come sempre uguale nel suo ripetersi… Durante la festa, dunque, si esce dal tempo profano soggetto a contingenze, per ritrovare il tempo che “fonda” il senso dell’esistenza”(15);

e)infine, il significato del rinnovamento: la famiglia tradizionale dava al momento festivo una valenza fondativa di una condizione esistenziale nuova. In pratica nel corso della festa si liberavano forze che operavano una catarsi di ordine psicologico, ed eventualmente anche d’ordine sociale, civile, politico. A riguardo Lanternari sostiene:

“… i riti inclusi nella festa hanno sempre una funzione bipolare, di eliminazione e di fondazione simbolica, su piano metempirico o magico. Si tratta di riti di controllo simbolico del destino individuale e collettivo. Un controllo che nel suo simbolismo esprime un bisogno urgente, un desiderio, una fiducia che porta i festeggianti ad agire “come-se” si trattasse di un controllo effettuale, concreto. Si elimina il male in qualsiasi aspetto fisico, morale, sociale, spirituale, e riguardo sia agli individui sia all’intera comunità: avversità, ostilità, colpe, minacce, pericoli, impurità, contaminazione, ecc. S’inaugura, cioè si fonda la buona sorte nelle sue manifestazioni più varie, con riguardo ai singoli e alla collettività: cioè fortuna, prosperità, successo, buon andamento delle stagioni, armonia sociale, equità, solidarietà, purezza. Benché la funzione eliminatoria e quella fondante siano strettamente connesse tra loro al punto che può suonare artificioso il tentare di sceverarle, anche perché la prima è condizione insopprimibile della seconda, tuttavia è convenzione usuale distinguere certi momenti rituali per una loro prevalente funzione eliminatoria, certi altri per una prevalente funzione inaugurativa”(16). / Continua

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(1) “Ma la dove le condizioni di marginalità sociale, d’isolamento culturale, di sottosviluppo e di sfruttamento economico a lungo e tenacemente durarono, in tali aree più fortemente e più a lungo resiste quella concezione del mondo magica, immanentista, demonico-stregonica che è il riflesso ideologico della condizione di dominazione e marginalità subita, e che finì per influenzare a sua volta il cristianesimo, dando luogo a una sua specifica configurazione nota come ‘cattolicesimo popolare’” (V. LANTERNARI, Festa, Carisma, Apocalisse, Sellerio Editore, Palermo, 1983, p. 93).
(2) Cfr. Ibid., pp. 103-105.
(3) Lo storico Dupront considera la religione popolare “il rifugio di emozioni paniche – in periodi di grandi calamità, epidemie, angoscie apocalittiche – ed un luogo prediletto di melefici ed esorcismi che sfuggono alla religione ufficiale” (A. DUPRONT in B. PLONGERON, La religion populaire, nouveau mythe de notre temps?, “Etudes”, 1978, p. 831).
(4) Quanto all’etimologia, la parola superstizione deriva “dal latino superstitio, la cui origine era ignota anche agli antichi. Cicerone, nel De natura deorum (II, 28, 72), riconduce superstitio a superstes (superstite), dicendo che qui totos dies precabantur et immolabant ut sibi sui liberi superstites essent superstitiosi sunt appelati, quod nomen patuit postea latius: “Quelli che pregavano per tutto il giorno e facevano sacrifici agli dei affinché i propri figli fossero superstiti a se stessi (cioé sopravvivessero) furono chiamati superstiziosi, e questa parola assunse successivamente un significato più ampio”(…) (PLUTARCO, il fato e la superstizione, cura e versione di Maria Scaffidi, Newton, Roma, 1993, pp. 18-19).
(5) Ibid., pp. 76-77.
(6) Ibid., p. 78.
(7) E. DE MARTINO, Sud e magia, Feltrinelli, 1978, p. 137.
(8) “Della componente istituzionale fa parte integrante anche la periodizzazione iterativa del momento festivo, secondo una ciclicità che varia in rapporto ad un ordine calendariale o a un ordine naturalmente determinato secondo il ciclo della vita individuale” (V. LANTERNARI, op. cit., p. 27).
(9) K. KERENYI, Von Wesen De Festes, Religionem and Ethnologische Religionsforschung, Paideuma, 1, 1938; trad. it. Religione e festa, in F. IESI, La festa. Antropologia Etnologia Folklore, Rosenberg e Sellier, Torino, 1977, pp. 33-49.
(10) Cfr. C. GALLINI, La festa, in Enciclopedia del teatro del ‘900, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 416-421.
(11) V. LATERNARI, op. cit., pp. 29-30.
(12) Ibid., p. 31.
(13) Cfr. Ibid., p. 68.
(14) Ibid., p. 44. Sempre lo stesso Lanternari scrive: “in occasione di importanti feste calendariali (Capodanno, Natale, San Giovanni) è vecchia usanza trarre le sorti per sondare il futuro individuale. Specialmente la notte, e più particolarmente la mezzanotte, si usava purificarsi col bagno collettivo nel mare o nel fiume, nella mezzanotte di San Giovanni” (Ibid., p. 52).
(15) A. BRELICH, Introduzione alla Storia delle Religioni, Ateneo, Roma, 1966, pp. 50-51.
(16) V. LANTERNARI, op. cit., pp. 41-42. In proposito Valeri afferma: “la festa unisce nell’esperienza ciò che normalmente a separato” (V. VALERI, Festa, in Enciclopedia, Einaudi, Torino, 1979, vol. VI, p. 95). E Lanternari aggiunge: “anche separa, toglie, elimina ciò che normalmente è unito: per esempio disuguaglianza / parità, male / bene, dolore / gioia. A livello simbolico il momento dell’“eliminazione” prepara e condiziona quello della reintegrazione e rifondazione” (V. LANTERNARI, op. cit., p. 61).

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