
“Vita di un giudice”, di Gian Carlo M. Rivolta, Sugarco Edizioni, è un libro che piace e appassiona perché si coglie in esso un interessante intreccio tra storia, memoria e attualità. Sì, perché si offre come un “gomitolo” di vicende, di affetti, di sentimenti, che si dispiega lentamente riuscendo a far stabilire un circuito comunicativo tra il lettore e il protagonista Carluccio, discendente maschio di una famiglia aristocratica, che dopo un’infanzia felice, intristisce in un collegio religioso, studia giurisprudenza a Pavia, entra in magistratura, è ammaliato dalle donne, difende la povera gente della bassa, lotta per l’emancipazione femminile, collabora alla stampa progressista, viene guardato come un matto e come un pericoloso sovversivo.
In questo racconto c’è storia vera, passione, fantasia, creatività, poesia, paesaggio reale e paesaggio dell’anima, e l’autore evidenzia un estro narratologico che, per un uomo di diritto e di legge come lui, fa veramente presa atteso che l’autore appartiene al mondo della professione forense, ha insegnato diritto commerciale nell’Università di Milano ed è un affermato giurista che si e occupato di imprese, società, contratti mercantili, procedure concorsuali. Un mondo, insomma, sicuramente un po’ distante e diverso dalle Humanae litterae, ma che Rivolta riesce a far proprio e umanizzare, a tradurre in impegno letterario, tant’è che come scrittore e saggista ha pubblicato nel 1992 “L’astuccio dei ricordi”, nel 1995 “Il collega don Ferrante”, nel 1999 con Marsilio “La culla dei sogni”, nel 2005 “La favola della vita, nel 2008 “Ritratti di famiglia”.
“Vita di un giudice” è un libro che piace e appassiona, e che spinge a porsi una domanda: esiste un rapporto tra letteratura e giustizia? Direi di sì, e questo testo si inserisce in un filone di letteratura che ha dato spazio ed attenzione alla figura del giudice, al rapporto tra magistratura, giustizia e letteratura.
Ci sono, infatti, parecchie pagine di libri che guardano alla figura del giudice, e leggendo queste pagine di Rivolta la conclusione a cui si può arrivare è che alcune sono figure simpatiche e uno se le ricorda, altre antipatiche e pertanto vengono subito rimosse dalla memoria, perché, come diceva Michel de Montaigne, le stesse leggi della giustizia, che il giudice deve fare applicare e rispettare, non possono sussistere senza una qualche mescolanza d’ingiustizia.
La letteratura sostanzialmente ha sempre fatto emergere due grossi nodi problematici. Primo: un problema di identità: chi è il giudice? Una figura ieratica e sacrale che, alla stessa strega di un prete che dispensa le leggi divine, dispensa invece le leggi umane dello Stato? O è un uomo con le sue ansie, le sue passioni, i suoi sentimenti, i suoi turbamenti, le sue notti insonni perché sente il peso schiacciante della responsabilità di decidere in una o in un’altra direzione? Secondo: un problema di prassi etica: che tipo di giustizia incarna il giudice? Una giustizia sempre giusta o a volte anche una giustizia ingiusta?
Ecco, queste sono le grosse questioni che la letteratura ha sempre focalizzato rispetto alla figura dei giudici, e Gian Carlo M. Rivolta si muove in questo alveo già ampiamente scavato. Nel suo libro il giudice Carluccio che tipo è? E’ un giudice ideale? Forte, debole, politicizzato? E’ un giudice retto, scrupoloso, superficiale, condizionabile? Il lettore lo potrà scoprire da sé. Forse c’è un po’ di tutto; ciò che emerge dalla narrazione è la figura di un uomo con le sue aspirazioni, i suoi dubbi e sentimenti che si agitano dentro il suo cuore: l’amore per le donne, la difesa dei poveri, la simpatie politiche manifestate apertamente sui giornali, la lotta per i diritti delle donne a cominciare da quello del voto, la gratuità, l’amore che sa anche rischiare e che non disdegna di andare incontro alla morte quasi da eroe.
Vita di un giudice è, sicuramente, un libro che piace e appassiona per due motivi. Anzitutto per la sua capacità di evocazione storico-sociale: il libro non è la mera cronaca della vita di Carluccio che diventa giudice, ma la rilettura critica di fatti, accadimenti sociali, politici, etici di un periodo storico che va dalla fine dell’800 alla prima metà del 900 ; in secondo luogo, per la sua capacità trasfigurativa che fa assurgere la storia raccontata a letteratura, andando oltre a quello che è il dato narratologico.
In buona sostanza il volume “Vita di un giudice” è un racconto strutturato su tre microcosmi:
– un microcosmo storico-sociale: l’autore offre uno spaccato di società del Nord Italia, con riferimenti a lotte sociali, al fenomeno delle leghe contadine, del proletariato, alle difficoltà delle risaie, alle battaglie per la riforma universitaria e ai vissuti della famiglia con le sue tradizioni e i giochi tipici della cultura del territorio, come la lippa, la pocla, le biglie;
– un microcosmo pedagogico-affettivo: c’è nel libro il problema educativo e della formazione in collegio del futuro giudice, che ha sicuramente delle proiezioni sulla sua scelta professionale; c’è la guida di un sentimento affettivo che sfocia nell’amore come reciprocità e dono;
– un microcosmo etico: il bisogno di richiamare ad una giustizia vera, capace di stabilire una circolarità ermeneutica tra morale e diritto, esigenze etiche e prassi giurisprudenziale, facendo venire alla luce i valori più autentici e il senso profondo della giustizia: quello che tende ad una vita onesta e a saper recare aiuto a chi più soffre e meno possiede.