
Giorgia Meloni è “il” presidente del Consiglio della XIX legislatura. Così ha voluto definirsi la prima donna a ricoprire in Italia un incarico tanto prestigioso nelle istituzioni. E’ significativo che proprio una donna scelga per sé l’articolo al maschile – il presidente – alludendo alla belinata del politicamente corretto che impone la distinzione delle desinenze con riferimento ai generi. Se questo è femminismo è povera cosa e perpetua il conflitto che si vuole latente tra maschi e femmine, perché prescinde dal merito e si focalizza sull’eterna questione della sudditanza della donna. Allora ci si appende alle quote rosa come approdo a una parvenza di pariteticità che si dimostra con i fatti. Così i progressisti che non sono riusciti a mandare nei posti del potere che conta nessuna loro rappresentanza femminile. Ci riesce invece benissimo la destra. Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, Christine Lagarde, presidente della Banca centrale, nonché la ex cancelliera tedesca Angela Merkel e risalendo indietro nel tempo la lady di ferro britannica, Margaret Thatcher, tutte donne di potere, di cultura e provenienza conservatrice. Quote rosa o no, ciò che conta è il merito. Non vi è dubbio che Giorgia Meloni sia l’artefice del proprio successo: da una percentuale di consenso minima è riuscita a portare FdI al 25% e alla guida del paese, non per cooptazione né per gentile concessione di un uomo. Paziente, determinata, prudente, senza scheletri nell’armadio, cosa rara, il neo-presidente del Consiglio sarà sottoposta al vaglio nazionale e internazionale. Da dichiarazioni precedenti alla vittoria della destra-centro a oggi, è possibile farsi un’idea di come Meloni guiderà il paese, non è un azzardo dire che lo farà in continuità con il governo precedente nei dossier più importanti, il Pnrr e il sostegno all’Ucraina. Ma sono molte le sfide che dovrà affrontare e la lunga conversazione avuta con Draghi, prima del rito della campanella che ha plasticamente evidenziato la cordialità del rapporto, sta ad indicare che Meloni non deraglierà dalla traiettoria segnata dal suo predecessore. Innanzi tutto le relazioni con i partner europei che vanno consolidate perché sempre più intrecciati e interdipendenti sono i destini degli stati dell’Unione, le sanzioni alla Russia, la questione del gas, l’ultimo servizio all’Italia reso da Draghi che ha preteso che le conclusioni dell’incontro a Bruxelles fossero messe nero su bianco perché ad esse si dia seguito senza retrocessioni e ripensamenti, il sostegno incondizionato all’Ucraina, su cui Draghi per primo è riuscito a sensibilizzare gli omologhi europei. A questo proposito, Giorgia Meloni ha confermato con forza quella linea, assicurando il presidente Zelensky che è stato il primo a complimentarsi con lei e ringraziarla. Dall’opposizione alla guida del governo, il presidente Meloni dovrà però conciliare il sovranismo con l’europeismo e il risultato sarà tanto migliore quanto più sarà incoerente con se stessa e in grado di affrontare con fermezza e mettere all’angolo le forze centrifughe e le insidie populiste che cercheranno di avere il sopravvento. Il governo Draghi è un lascito e un patrimonio di credibilità assai rilevante, speriamo non lo bruci. Auguri presidente!