
La realtà prima o poi ti presenta il conto. Meglio prima, per evitare che una situazione critica scivoli irrimediabilmente verso uno stato di emergenza da cui uscire fa pensare ai tentativi disperati di salvarsi dal risucchio delle sabbie mobili. I partiti italiani soffrono da tempo di una profonda crisi di identità che li ha trasformati in entità indefinibili, sfumate, aeriformi, la cui unica consistenza , un eufemismo, risiede nelle sigle e nei simboli, che aiutano gli elettori a orientarsi nel momento in cui sono chiamati a mettere una croce su una scheda. Una scelta ad excludendum piuttosto che determinata da convinzione. In particolare se riguarda il cosiddetto zoccolo duro: un ex comunista fino a poco tempo fa votava, a volte a malincuore, per il Partito democratico, identificando in esso l’ultimo passaggio nel percorso dal Pci al Pds ai Ds. Dopo l’Ulivo di Prodi (1995-2008), che Letta definirebbe “campo largo”, non c’è più stata una coalizione che comprendesse l’allora Pds , i Popolari, i Verdi e altre formazioni minori. Il segretario del Pd dovrà decidere se il suo sarà un campo largo sul modello prodiano o un campo di calcetto con Leu e il gruppo risicato di Conte, sulla cui affidabilità non è affatto pronto a scommettere. Il tentativo di mettere in difficoltà Draghi e la stabilità del Governo opponendosi al provvedimento riguardante l’invio di armi all’Ucraina, votato in marzo anche dai 5S, facendo finta di averlo dimenticato o di non averlo sottoscritto, è stato una farsetta da bambini che con la bocca sporca di cioccolata negano di averla mangiata. Una figura miserevole che fa pendant con lo scoop del Fatto “Draghi chiede di fare fuori Conte”, squalificante per il quotidiano, per il suo direttore che fatica a nascondere un’odio viscerale nei confronti del premier , per lo psicologo De Masi, fervente ammiratore di Conte, che sbuca nei momenti clou per dargli manforte “Grillo mi ha raccontato che Mario Draghi ha chiesto di rimuovere Conte” , e infine per Grillo che smentisce, “Storielle”. Una storiella, appunto, nata, forse, da una frase o da una battuta del premier sulle capacità di Giuseppi, che non contrasterebbe con il giudizio tranchant espresso tempo fa dal comico sull’ex premier. Un pettegolezzo che ha alzato un vento temporalesco mosso da obiettivi che non si ha il coraggio di confessare. Un gruppetto di individui frustrati che non si arrendono e in ricerca perenne di rivalsa. Fatto sta che il cauto Letta ha di fronte un dilemma da sciogliere e nel frattempo attende l’esito delle regionali in Sicilia dove il Pd è in coalizione con i pentastellati. Seguiranno le regionali in Lazio e in Lombardia, dove coinvolgere i grillini sarebbe un rischio: in quella regione il solo nominarli ha un effetto respingente e anche il Pd lombardo ha connotazioni che lo differenziano dal Pd di altre regioni. Poi c’è il centro destra che si consuma in bizze controproducenti, ma rivelatrici di una sostanziale distanza che non dipende solo dalla rivalità tra Meloni e Salvini per la leadership. Salvini è al capolinea e va sostituito e il centro destra rifondato. La curiosità è tutta rivolta al centro di cui si fa un gran parlare ma che nessuno riesce a vedere. L’affollamento c’è, quello che manca è la condivisione di una linea comune e chiara. Azione, Italia Viva, +Europa, Partito socialista, Europa Verde, totiani e brugniani che nel frattempo si sono divisi, forzisti delusi e oggi “Insieme per il futuro” di Di Maio. In Italia, il vero assente è un partito liberale, mai davvero esistito perché l’idea liberale, frutto di una cultura, è lontana dalla mentalità di un popolo refrattario al senso di responsabilità, che è inscindibile dalla libertà. Se non sei responsabile non sei neanche libero. C’è invece una spiccata e diffusa vocazione alla lamentela e al vittimismo, soci impenitenti del dirittismo senza doveri e alimentatori di storielle da sopravvissuti , alle prese con esercizi di equilibrismo di chi si trovasse costretto ad attraversare l’Indo su un ponte decrepito. In questa situazione, chi potrà prendere le redini del governo fra un anno? La domanda è aperta, la risposta unica.