
Palamara, già sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dalla Procura di Perugia, per quanto riguarda il processo disciplinare avviato nei suoi confronti, dovrà rispondere dell’accusa grave di “interferenza nell’esercizio delle attività di organi costituzionali”.
Questa l’accusa nei suoi confronti ipotizzata dal procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi. Oltre a Palamara dovranno presentarsi davanti al “tribunale delle toghe” i cinque ex consiglieri del Csm, dimessisi dopo lo scandalo: Antonio Lepre, Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli; l’ex pm della Dna, Cesare Sirignano, l’ex pm di Roma, Stefano Rocco Fava, e due magistrati segretari del Csm.
Processo disciplinare? Già. Di questo si tratta, dovendosi procedere nei confronti del presidente e di alcuni componenti di un’associazione sindacale, quale per l’appunto è l’Anm. Ad ogni modo, al di là del termine tecnico, gli accusati dovranno rispondere di peccati gravi, gravissimi, mortali.
Altra storia quella del processo di Perugia. Da accapponare la pelle il contenuto delle oltre 400 chat raccontate dal trojan inserito nel telefonino del furbo Palamara. Cento, mille i suoi compagni di merenda. Chi sono? Quali ruoli rivestono? A quale Palazzo appartengono? Si parla anche di cerimonie, benedizioni, complotti preparati nei minimi particolari e condivisi ad alti livelli. Clamorosa l’intercettazione sul compiacimento espresso da Palamara al procuratore della Repubblica di Agrigento, Luigi Patronaggio, impegnato ad abbattere l’odioso e odiato ministro della Repubblica Italiana Matteo Salvini. Incredibile l’episodio, ripreso da tutte le Tv del mondo, della unità navale della Ong tedesca, Sea Watch che, dopo avere speronato una motovedetta della Guardia di Finanza, si conclude con l’incoronamento ad “angelo del mare” della comandante Carola Rackete.
Se tutto questo è vero, quando l’intemperante deputato della Repubblica Italiana, Vittorio Sgarbi, urla alla Camera che il metodo usato da alcuni magistrati è di stampo mafioso, anziché incazzarsi, occorre avere la pazienza di riflettere con onestà intellettuale sulla enunciazione del legislatore: “Il metodo mafioso si fonda su tre elementi fondamentali: la forza di intimidazione del vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e omertà che da esso deriva”. Elementi inesistenti? Bene. Lo decida una commissione parlamentare di inchiesta!
Sgarbi ha posto in modo impetuoso, duro e plateale un problema vero, drammatico, esplosivo. Il presidente di turno della Camera, Mara Carfagna, avrebbe potuto fermarlo spegnendogli il microfono e, magari, piazzandogli accanto due “guardiani”; ha preferito, invece, rubargli la scena ordinando ai commessi di scaricarlo fuori come un sacco di patate. Bagarre, risse e insulti alla Camera? A centinaia. Ma Sgarbi ha fatto perdere la testa a tutti quando ha parlato di metodo mafioso della magistratura e di commissione di inchiesta. Due verità, presentate con irruenza e furore, sono pur sempre due verità.
1 commento su “Palamara e le accuse pesanti… di Michele Giardina”
Bisogna applicare tutte le REGOLE, prevista nella notte dei tempi, dall’Ordinamento Giudiziario.
Trasferire tutti quei magistrati, che risultassero incompatibili a livello ambientale e di sede.
N.B. Art. 18. Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la
professione forense.