
C’è un paradosso che si fa sempre più evidente: viviamo in un tempo in cui si invoca la libertà di espressione a ogni passo, salvo poi volerla limitare non appena qualcuno ne fa uso in modo autonomo. Il caso che ha investito in queste ore Michelangelo Agrusti, presidente di Pordenonelegge, è l’ennesima conferma di questa deriva: si può parlare di tutto, ma solo se si dice ciò che è gradito a una parte. Una petizione firmata da oltre cento persone, tra attivisti e intellettuali, ne chiede la rimozione per le sue posizioni pubbliche su Israele. Il motivo? Secondo i promotori, le sue dichiarazioni sarebbero incompatibili con il ruolo di guida di un festival letterario che si dichiara pluralista. Eppure, se c’è un merito che nessuno può negare ad Agrusti, è proprio quello di aver rafforzato l’identità inclusiva e internazionale di Pordenonelegge. Lo dicono i numeri, lo dicono gli autori, lo dice la qualità degli ospiti. E lo dice anche la trasversalità delle voci che oggi lo difendono: da Fratelli d’Italia al Partito Democratico, passando per europarlamentari, istituzioni culturali, editori, lettori e curatori del festival. Certo, esprimere una posizione a favore di Israele — in un contesto di guerra, certo doloroso e complesso — non equivale a negare spazio alle altre opinioni.
La cultura, se è davvero tale, non si costruisce sulla censura preventiva, ma sul confronto. E togliere il ruolo a un presidente per le sue idee significa minare un principio basilare: la distinzione tra opinione personale e indirizzo culturale collettivo. A oggi, nessuno ha dimostrato che Agrusti abbia imposto una linea editoriale unilaterale al festival. Nessuno può dire che Pordenonelegge non sia stato uno spazio di pluralismo, apertura e confronto. Anzi: è proprio sotto la sua presidenza che la manifestazione ha rafforzato la propria autorevolezza in Italia e in Europa, con eventi all’estero, partnership culturali, visioni ampie e inclusive. Se oggi rimuoviamo un presidente per un suo pensiero espresso pubblicamente, domani potremmo dover chiedere il silenzio a un direttore editoriale, dopodomani a un insegnante, poi a uno scrittore, a un giornalista, a un artista. Dove finisce il diritto al dissenso? E dove comincia il rischio di un pensiero unico mascherato da progressismo? Chi promuove la petizione dimentica che un festival letterario non è una manifestazione di omologazione ideologica, ma un luogo di attrito, contaminazione, libertà di parola. E Agrusti — pur con le sue posizioni — non ha mai trasformato Pordenonelegge in un megafono personale. Difendere la figura di Michelangelo Agrusti non significa aderire a ogni sua opinione. Significa difendere la possibilità che una figura culturale esprima un pensiero senza dover pagare con la delegittimazione. La cultura ha bisogno di spazi ampi, non recintati. Ha bisogno di dirigenti capaci, ma anche di figure coraggiose, che non pieghino la schiena davanti a ogni clima d’opinione. In un mondo in cui l’arte e la parola rischiano di diventare innocue per non essere scomode, chi guida un festival culturale deve poter parlare. Anche a costo di non piacere. Pordenonelegge non è in pericolo, ma il dibattito sì. Chi oggi attacca Agrusti in nome del pluralismo, rischia di minarlo alle fondamenta. Perché il pluralismo non è silenziare chi dissente, ma includerlo nel dialogo. E un festival letterario — come tutti i luoghi vivi della cultura — esiste proprio per questo. La vera sfida non è scegliere tra chi ha ragione e chi no. Ma tutelare le condizioni perché tutte le ragioni possano esprimersi. Se rinunciamo a questo, non avremo più festival. Avremo solo palchi silenziosi.
2 commenti su “Pordenonelegge: Chi ha paura della cultura?”
Detto da Ruzza mi suona tanto d’ipocrisia.
Tempo fa mi è stato censurato un commento, anzi per l’esattezza è stato postato per quasi un giorno e poi sparito. Questo nonostante i ditini all’ingiù.
Motivo per cui non ho commentato più le opinioni della Faletti e di Ruzza, persone che mi ero fatto un’altra opinione. E non è stata la prima volta.
Ma nonostante tutte le opinioni che possiamo avere o esprimere, le posto questo articolo di Weltanschauung Italia che fa capire il senso di quanto detto:
DISERTARE
“Credere oggi di potersi opporre al sistema è il più raffinato meccanismo attraverso cui il sistema stesso si riproduce,
Ogni forma di ribellione è prevista, calcolata, metabolizzata ancora prima che prenda forma. Il sistema non è nemico esterno che si può combattere. E’ un organismo vivente che include ogni sua componente, perfino – e soprattutto – coloro che si illudono di stargli contro. La rivolta non è una minaccia, ma un ingranaggio necessario al suo funzionamento.
Quando un giovane urla contro il potere, quando un intellettuale critica le strutture sociali, quando un movimento protesta nelle piazze, non stanno facendo altro che svolgere una funzione precisa. Sono valvole di sfogo, meccanismi di scarico che impediscono l’accumulo di tensione, che rendono il sistema più flessibile e insieme più forte. Il sistema produce al suo interno gli anticorpi contro sé stesso. Genera i propri critici, alimenta i propri oppositori, crea gli spazi dove la protesta può manifestarsi senza mai minacciare realmente l’equilibrio complessivo. E’ come un meccanismo che include e neutralizza contemporaneamente ogni forma di conflitto.
Chi crede di essere fuori dal sistema, ne è dentro. Chi pensa di combatterlo ne è già parte integrante.
Ogni strategia di opposizione frontale è destinata al fallimento. Non perchè il sistema sia invincibile, ma perchè la sua forza sta nella capacità di riassorbire ogni spinta critica, ogni tentativo di rottura.
Per combattere il sistema al punto in cui siamo bisogna comprendere le logiche. Non opporsi, ma disertare. Non gridare, ma sottrarsi. Non distruggere, ma disegnare spazi di autonomia che sfuggano alla sua logica di cultura.
Di questi tempi la libertà è una strategia di sottrazione silenziosa”.
WI
Mai affrontare di questi tempi i buonisti, i progressisti, gli intellettuali di sinistra i buon pensanti ipocriti, e infine tutte quelle teste svuotate e riempite e omologati con il pensiero Unico.
Mai affrontare questi a mani nude, le loro carezze nascondo artigli affilati , il loro cuore morbido fuori, duro dentro, la violenza verbale è latente, quella fisica subito dopo, lacrime finte per Gaza, violenza inaudita contro chi dissente. Una massa ammaestrata da chi grida più forte li segue, no perché sono stati convincenti, ma perché il mondo giusto, corretto, capace di capire, equilibrato Sta Muto, non contrasta, non mette in guardia. Governicchi guidati da molluschi appiccicati al sedie del governo, pensando di far contenti i sudditi, stanno riconoscendo addirittura uno stato che non esiste.
Dottor Ruzza, stiamo vivendo un periodo strano, eccezionale, oppure alla fine l’uomo è stato sempre così?