
Il diritto allo studio trova affermazione, per la prima volta, nel nostro ordinamento in sede di Assemblea Costituente.
Tale articolo è composto da quattro commi.
Il primo comma dell’articolo in esame prevede che: “la scuola è aperta a tutti”; in tal senso, da un lato si rende illegittima ogni forma di discriminazione nell’accesso al sistema scolastico, dall’altro, si assicura a tutti il diritto a ricevere un’istruzione adeguata e di fruire delle prestazioni scolastiche nella scuola prescelta. Importante fu il dibattito dottrinale concernente la norma contenuta nel primo comma tra quanti la ritenevano meramente programmatica, nel senso che veniva specificato un diritto allo studio, senza discriminazione alcuna, e quanti ne rivendicavano la sua immediata applicazione come diritto soggettivo alle prestazioni del sistema scolastico. Venne preferita quest’ultima tesi che aderisce alla concezione della scuola come servizio pubblico essenziale e reinterpreta la centralità, tradizionalmente attribuita allo Stato (e non agli enti locali), nel sistema nazionale di istruzione.
“L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. Il secondo comma del trentaquattresimo articolo è molto chiaro e costituisce una assoluta novità per l’epoca in cui venne emanata la Costituzione. Bisogna, però, dire che le prime attuazioni della disposizione tardarono ad arrivare. Solo nel 1962 venne emanata la legge n. 1859, che istituiva la scuola media unica. Con tale normativa, si recepiva il restrittivo orientamento secondo cui l’art. 34 Cost. prevedeva esclusivamente un diritto di “ingresso” al sistema scolastico. Non solo, ma la finalità dell’obbligo, non veniva correlata alla reale ed effettiva acquisizione di conoscenze teoriche, dal momento che l’accertamento formale del numero di anni previsti dalla legge proscioglieva dall’obbligo stesso. In altri termini: ciò che assumeva rilievo, in sostanza, non era tanto il risultato conseguito, quanto la mera frequenza (si veniva “scagionati” dimostrando di avere frequentato la scuola per almeno otto anni). Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, si elevò l’obbligo di istruzione da otto a dieci anni. Altra questione, non meno significativa, attiene al contenuto della gratuità. Quest’ultima è connessa al diritto ad essere istruiti coprendo, in termini di mezzi economici, tutto ciò che si rende necessario per assicurare l’effettività del diritto.
Il terzo comma statuisce: “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, con la conseguenza che al verificarsi delle due condizioni, meritevolezza e carenza di mezzi, scatta il diritto del singolo di essere aiutato e l’obbligo dello Stato a provvedere. L’investimento pubblico (proveniente dalla tassazione) richiede al singolo individuo la dimostrazione di un impegno di riuscita.
Il comma appena esaminato va letto in combinato disposto con il successivo, cioè il quarto ed ultimo comma dell’articolo 34: “la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. La Repubblica, mediante, l’emanazione di borse di studio, assegni ed altri aiuti, infine, attua il principio meritocratico per i soggetti più meritevoli e meno abbienti.
Nonostante tutto, però, l’attuale situazione scolastica resta caratterizzata da interventi disomogenei e lontani dalla realtà odierna, dato che non si è in grado di rispondere, in maniera soddisfacente, alle esigenze presenti in un settore fondamentale non solo per lo Stato ma anche per la società, nel suo complesso, dal momento che l’istruzione rappresenta il nodo fondamentale di una comunità: la formazione delle generazioni del domani.