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Meditazione Domenica delle Palme Mons. Gualtiero Isacchi

Tempo di lettura: 2 minuti

foto: L’entrata di Gesù Cristo in Gerusalemme; mosaico bizantino XII sec. della Cappella Palatina del Palazzo Reale, o dei Normanni, a Palermo.

Carissimi confratelli dell’Ordine di San Lazzaro, con piacere condivido con voi qualche pensiero e qualche suggerimento che possa essere di aiuto nel penetrare il significato profondo della Domenica delle Palme come celebrazione introitale alla grande Settimana Santa. Lo faccio in due momenti: anzitutto osserveremo cosa fa Gesù, per comprendere come sceglie di entrare nella città Santa consapevole che lì è chiamato a donare tutto sé stesso; in secondo luogo ci domanderemo, noi cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo entrare in questo Tempo santo?

La Domenica delle Palme

La benedizione delle palme, da cui questa domenica prende il nome, è il rito con il quale si dà avvio ad una processione che i fedeli precorrono sventolando rami di ulivo per evocare il solenne ingresso in Gerusalemme di Gesù, con la folla che gli va incontro festosa e acclamante. Il vangelo di Marco (11,1-10), come il vangelo di Giovanni (12,12-16) a cui farò riferimento, che vengono proposti dalla liturgia prima della benedizione delle palme, ci ricordano come si svolse quell’evento solenne che vivremo insieme prima della celebrazione della santa Messa.

Come tutti i segni liturgici, anche questo corteo festante, non è fine a sé stesso, non vuole semplicemente farci prendere in mano le palme, gli ulivi, per compiere qualche passo cantando, ma intende farci esprimere, piuttosto, la volontà di iniziare un cammino. Questa scena infatti, che vorrebbe essere di entusiasmo, non ha valori in sé: assume piuttosto il suo significato nell’insieme degli eventi successivi che culmineranno nella morte e nella risurrezione di Gesù. Contiene perciò una domanda che è anche un invito: vuoi tu muovere i tuoi passi entrando con Gesù a Gerusalemme fino al calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con lui là dove lui è? Solo così sarà tua la gioia di Pasqua.

Entriamo dunque con la Domenica delle Palme nella Settimana Santa, chiamata anche “autentica” o “grande”. Grande perché, come dice San Giovanni Crisostomo, «in essa si sono verificati per noi beni ineffabili: si è conclusa la lunga guerra, è stata estinta la morte, cancellata la maledizione, rimossa ogni barriera, soppressa la schiavitù del peccato. In essa il Dio della Pace ha pacificato ogni cosa, sia in cielo che in terra». Che bello ascoltare questa espressione: “si è conclusa la grande guerra” … come sarebbe bello poterla pronunciare in questo nostro tempo parlando a proposito dei tanti conflitti armati che insanguinano i diversi continenti.

Domandiamo, in questi giorni santi, il dono della Pace. Chiediamo che il Signore susciti nel cuore dei responsabili delle nazioni sentimenti di riconciliazione, aspirazioni di dialogo e incontro, rifiuto di ogni conflitto e contrapposizione. Preghiamo particolarmente, accogliendo l’invito del nostro Papa Francesco, per la pace nel conflitto israelo-palestinese e in quello russo-ucraino. Mentre preghiamo per questa intenzione, interroghiamoci pure sulle condizioni profonde per attuare una reale pace nel mondo intero.

La liturgia della Domenica delle Palme è, quindi, un preludio alla Pasqua del Signore

L’entrata in Gerusalemme dà il via all’ora di Cristo, l’ora verso la quale tende tutta la sua vita, l’ora che è al centro della storia del mondo. Con queste parole l’evangelista Giovanni introduce i racconti della Passione di Gesù: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora» (Gv 13,1), ma prima ancora lo stesso evangelista racconta quanto Gesù stesso ha detto ai Greci che, avendo saputo della sua presenza in città, chiedono di vederlo: «è venuta l’ora in cui sarà glorificato il figlio dell’uomo» (Gv 12,23), gloria che risplenderà pienamente quando dalla Croce attirerà tutti a sé.

Cosa fa Gesù

Il vangelo di Giovanni ci racconta che cosa fa Gesù quando la folla gli va incontro gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!» (12,13). Gesù non parla, non dice nulla, pone soltanto un gesto simbolico, ricco di significato: trova un asino e vi monta sopra. L’evangelista Giovanni annota: «come sta scritto: non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina» (12,15b). L’asino era l’animale mite che anche i primi re di Israele, Davide e Salomone, cavalcavano in tempo di pace, contrapposto al destriero e al cocchio utilizzati nei tempi di guerra. Gesù pone, quindi, un gesto semplicissimo per indicare la sua scelta di servire in modo umile e benevolo.

Questo di Gesù è il primo di una serie di gesti inediti, fuori dall’aspettativa della gente, che contempleremo nei giorni della settimana Santa: gesti di pazienza, di passività di fronte ai suoi persecutori, di silenzio, di oblio che neppure gli apostoli capiranno. Anche a noi conviene entrare con molta umiltà nelle celebrazioni della Settimana Santa, non diamo per scontato il sapere cosa accadrà. La folla che ha osannato Gesù nel suo ingresso nella città Santa è la stessa che il venerdì successivo grida: crocifiggilo! I gesti compiuti da Gesù hanno disorientato la fede “certa” del popolo che è stato incapace di riconoscere in un crocifisso il Dio della vita.

Proviamo a contemplare Gesù in questo modo: mettendoci nel suo cuore quando, arrivando a Gerusalemme, sa di andare incontro alla morte e quindi tiene gli occhi fissi sul Padre, nell’unico desiderio di compiere fino in fondo la sua volontà, di adempiere le Scritture, di portare a termine, a prezzo della vita, la missione affidatagli di salvare l’umanità, di liberare il mondo dal peccato, dal male, dalla violenza, dall’odio.

La folla acclama Gesù come re perché, avendo saputo della risurrezione di Lazzaro, gli corre incontro nella speranza che possa liberare Israele dall’oppressione politica. Gesù permette questa manifestazione gioiosa perché ha compassione di quella gente buona e semplice, amareggiata e appesantita da una vita faticosa e vuole aprire, in loro, un orizzonte di speranza.

Gesù entra nella città per offrirle l’Alleanza definitiva, per assicurarle che Dio la ama come una figlia per questo esclama: «Non temere figlia Sion!» (Gv 12, 15a). Per Gesù la città non è una realtà estranea, insignificante, dura di cuore, bensì una creatura da curare con pazienza e amabilità, nello stesso modo in cui ci si prende cura di una figlia. È questo il modo in cui, ancora oggi, Gesù entra nelle nostre città: con benevolenza, fiducia, affetto, cura. E lo fa per darci vita e non per condannarci. Il suo amore è come un roveto ardente che brucia e non si consuma (cf. Es 3). Questo fa Gesù.

Il ricordo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme è, per noi, anche un invito a lasciare che il suo mistero di amore e di mitezza entri nella nostra vita orientando le nostre azioni e le nostre scelte.

Noi, cosa dobbiamo fare?  Alla luce di cosa fa Gesù, ci domandiamo: che cosa in concreto dobbiamo fare noi nei prossimi giorni?

La domanda lascia spazio, certamente, ad una risposta personale di ciascuno, ma credo che almeno tre passi li dobbiamo compiere tutti insieme.

  1. Anzitutto siamo invitati a partecipare a tutti i riti della Settimana Santa che hanno lo scopo di coinvolgerci profondamente, giorno dopo giorno, negli avvenimenti che hanno segnato l’ultimo scorcio della vita di Gesù e di stimolarci a una comunione intima con i sentimenti da lui vissuti.
  2. Siamo pure invitati ad accostarci al sacramento della Riconciliazione in modo che il nostro cuore sia purificato, pronto ad aprirsi al dono dell’Alleanza pasquale e dell’umanità nuova. Un’umanità che diventa fonte di gioia per la città e si mette al servizio della pace, della giustizia e della verità.
  3. Ma c’è qualcosa di più che siamo chiamati a fare. All’inizio dicevo che i giorni della Settimana Santa saranno per noi un tempo di preghiera per la pace, ma anche occasione per interrogarci su quali sono le condizioni profonde per attuare una reale pace nel mondo intero. Questo secondo impegno non è per noi opzionale, è insito nella nostra natura di battezzati. Nelle beatitudini Gesù proclama: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Invertendo i termini, il significato mi pare appaia ancora più chiaro: se vuoi essere figlio di Dio, devi farti operatore di pace.

Si tratta di un impegno che inizia con un lavoro su sé stessi, sul proprio cuore e nell’ambiente in cui si vive. Il primo passo per vivere da figli di Dio e, quindi, il farci costruttori di pace accogliendo la consegna che Gesù lascia ai suoi discepoli nell’ultima cena dopo aver loro lavato i piedi: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Per essere costruttori di pace dobbiamo farci servi gli uni degli altri.

Infine, il secondo passo per essere figli di Dio e quello di riconoscerci fratelli e sorelle tra di noi, proprio perché figli dello stesso Padre. La soluzione di ogni confluito tra gruppi e mentalità diverse, all’interno della Chiesa, delle città, delle famiglie e nel mondo, si trova nel comportamento di Cristo che ha accolto tutti facendosi servo di tutti per radunarci in un’unica grande famiglia di fratelli, figli dell’unico Padre. Egli è venuto nel mondo proprio per accogliere Israele e tutti i popoli della terra nel Regno di Dio. Vivere da cristiani significa allora vivere accogliendoci nell’amore vicendevole, significa prepararsi alla Pasqua avendo nel cuore o ritrovando questi sentimenti. La nostra appartenenza al popolo di Dio non è un privilegio che ci separa dagli altri, bensì una sorgente di responsabilità nei confronti di tutti gli uomini che dobbiamo indistintamente accogliere come fratelli.

Vorrei concludere facendo mie le parole di San Paolo: «Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). È un augurio che rivolgo a tutti voi, alle vostre famiglie e che vorrei rilanciassimo a tutto il mondo. Gioia e pace nella fede non sono conciliabili con le discordie e le divisioni, sono un dono che ci apre al futuro di Dio, futuro pieno di speranza fondata sulla potenza dello Spirito.

È questa la speranza di cui abbiamo bisogno e che ci sarà elargita abbondantemente se vivremo i misteri celebrati nella Settimana Santa con devozione e coinvolgimento.

Chiediamo il dono della gioia e pace nella fede che prelude e ci avvicina alla luce sfolgorante della Pasqua.

+ Gualtiero Isacchi, Arcivescovo di Monreale e Cappellano Maggiore del Gran Baliato di Sicilia

/gr

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