
La libertà di religione si associa alla parità riconosciuta a tutte le religioni, sin dal 1984, quando la religione cattolica non è più stata considerata come “Religione di Stato”.
Il suddetto articolo è composto da un unico comma e prevede che: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Nella libertà di religione rientra (in negativo) anche la possibilità di non professare alcuna religione, cioè la libertà di essere atei. In altri termini, l’art. 19 Cost. prevede la libertà di non credere in alcuna divinità.
In dottrina, per tanto tempo si è dibattuto sulla natura di tale libertà e si è addivenuti alla soluzione che si tratta di un diritto soggettivo dell’individuo, vale a dire il potere di agire di un soggetto a tutela di un proprio interesse riconosciuto dall’ordinamento giuridico. Tale diritto non ha natura esclusivamente pubblica e non lo si deve pensare in una accezione negativa dato che principi e diritti costituzionali non possono sostanziarsi in comportamenti omissivi dello Stato. Ciò implica che lo Stato ha l’obbligo di attivarsi affinché venga riconosciuto il diritto del singolo.
All’interno del concetto di libertà di religione, rientra un’innumerevole serie di aspetti. Dalla libertà di dichiararsi atei, come abbiamo già detto, alla possibilità di partecipare alle funzioni religiose, nonché alle ipotesi di propaganda, vale a dire tramite un’azione che condiziona i comportamenti collettivi.
Da attenzionare è l’ultima parte dell’art. 19 Cost., in cui si sottolinea che non debba trattarsi di riti contrari al buon costume. Tale limite, considerato lieve sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, impone una interpretazione che varia nel tempo e che si riassume nei canoni di pudore, onestà ed onore.
L’articolo in questione è di rilevante importanza, specialmente in questa epoca di grande immigrazione, dato che assicura agli stranieri di professare il proprio credo religioso, senza alcuna forma discriminatoria.