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Salvare senza bruciare…di Ruben Ricca

Tempo di lettura: 2 minuti

La domanda che tutti quelli che scrivono si fanno: Perché pubblicare? Perché? Per dire cosa? Molti anni fa era un’ambizione crescente, un desiderio quando altri pubblicavano sciocchezze, altri meno capaci, con meno talento? Con meno cose da dire, con meno bisogni ma con pretese da artista. Pubblicare oggi, dopo la dichiarazione di Wilde (Prima i romanzi erano scritti dagli scrittori ed erano letti dal pubblico, oggi i romanzi sono scritti dal pubblico e non li legge nessuno) Pubblicare oggi dopo Borges, dopo Pierre Michon, dopo tanti mostri letterari, pubblicare dopo tutto questo sembra uno scherzo pretenzioso, una fanfara. E ancora per dire? La letteratura oggi (se oggi esiste ancora la letteratura) ci offre poche, pochissime novità. Come in politica, la letteratura oggi si occupa di idiozie e di plagi. Pubblicare per alimentare l’ego, pubblicare per riaffermare la personalità. Non è meglio stare fermi, immobili e desiderando il nulla? (come Flaubert) Congelarsi nell’impulso sembra la cosa più conveniente; la cosa più onesta, perché no, con se stessi. Pubblicare per dimostrare che si è un letterato, uno scrittore, è anche dimostrare la propria stupidità e petulanza.

Oggi si pubblicano tonnellate e tonnellate di libretti che non hanno la più minima importanza. Libretti che esibiscono, pure, il banale dello spirito umano. Convivono con Tolstoj la signora che scrive “Drammi Storici” di barocchi farmaceutici, guaritori dell’anima nelle fabele brasiliane o pettegolezzi mediocri nel mezzo della dittatura di Franco. La letteratura oggi, come mai, svolge la funzione di intrattenimento sociale; vane ripetizioni di pagine dimenticabili. Come orientarsi nel deserto? Certo, ci devono essere scrittori che valgano la pena, ma rimangono sepolti dai rifiuti editoriali che pubblicano solo ciò che è vendibile; ciò che il pubblico vuole leggere. Anche se nessuno sa come fanno a saperlo! Come Proust, come Cernuda o Lampedusa i buoni scrittori brillano per la loro assenza lasciando il posto a una legione di mediocri che non aggiungono nulla alla buona letteratura. E per ultimo arrivano i superbi, quelli che, come tanti politici, credono di aver scoperto la polvere da sparo o l’acqua calda. Coloro che quasi invariabilmente copiano Hemingway o Lèrmontov o Mann e proclamano ai quattro venti che hanno scritto un Dramma. Forse il dramma è sopportarli, tollerarli nello stesso periodo storico che ci tocca condividere; gente pretenziosa che passa il giorno inviando manoscritti a concorsi letterari, che fa conferenze, come i politici nei programmi TV, per parlare del sesso degli angeli o del comportamento dei semafori. Gente, anche, che ha letto poco, molto poco ma che esibisce un titolo piccolo, di appena tre anni! di professore di letteratura credendo di dimostrare (o suggerendo) di conoscere la letteratura (Eichmann avrebbe letto male Kant diceva Hannah Arendt) Sono una disgrazia. Come l’inetto che insiste a costruire un ponte sullo Stretto di Messina, proprio là dove passano i terremoti!

La buona letteratura non è morta, ma non viene esercitata. Come la buona politica, che deve essere eseguita per il bene del prossimo e non a beneficio proprio o familiare o nobiliare. La buona letteratura non è morta e lo dimostrano Melville e Poe, Yourcenar e Bernard Shaw, Sabato e Akutagawa e tanti, tanti altri ai quali devo ore e ore e centinaia di ore di meravigliosa lettura. Migliaia di ore di felicità, di solitudine e fantasia. Viviamo in tempi oscuri, perché nasconderlo? Sartre ha detto che l’inferno sono gli altri e Calvino che dobbiamo cercare il cielo negli altri e così sarà fino a quando passerà la tempesta. Ma è una tempesta molto lunga, che dura da decenni!

 

Ruben Ricca (autor e regista)

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