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L’ora legale Pillole di Costituzione a cura di Piergiorgio Ricca

Rientrano nel merito della libertà religiosa sia l’art. 7, sia l’art. 8 Cost., quest'ultimo suddiviso in tre commi e riguardante tre distinti principi.
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Al primo comma, l’art. 8 Cost. dispone che: “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. Tale previsione sancisce il riconoscimento del principio del pluralismo delle confessioni religiose, ribadendo, oltretutto, che godono della stessa misura di libertà (vale a dire che la libertà riconosciuta ad una determinata religione non può essere diversa da quella riconosciuta alle altre). Tale concetto non implica una piena uguaglianza di trattamento di tutte le organizzazioni confessionali, bensì impone una uniformità di trattamento riguardo a materie che incidono sulla libertà religiosa. Risulta possibile, infatti, un trattamento differenziato, purché adeguatamente motivato, per ragioni di tutela di pluralismo e non per favoritismo nei confronti di una determinata confessione religiosa, rispetto alle altre.
“Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”, questo è quanto prevede il secondo comma del suddetto articolo. Troviamo sancito, in maniera granitica, il principio di autonomia statutaria, per effetto del quale le confessioni religiose hanno il potere di autodisciplinare la propria attività, senza alcuna ingerenza da parte dell’autorità statale. Si tratta di un diritto e non di un obbligo, dato che le stesse possono inoltre decidere di non autoregolarsi, senza incorrere in trattamenti deteriori rispetto alle organizzazioni che fissano le proprie regole. Unico limite previsto dal secondo comma dell’art. 8 Cost. è quello della conformità ai principi dell’ordinamento giuridico italiano, condizione che costituisce la rilevanza verso l’esterno dello statuto stesso: se ciò non dovesse accadere, la normativa avrebbe solo mera rilevanza interna, essendo, la confessione religiosa, regolata dai principi del codice civile. Il “controllo di conformità” viene operato dal Consiglio di Stato.
Al suo ultimo comma, l’art. 8 Cost. disciplina che: “i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. Le confessioni religiose diverse dalla Cattolica hanno il diritto, e non l’obbligo, di richiedere la stipulazione di intese con lo Stato per la regolamentazione di materie di comune interesse. Qualora “l’accordo” non venisse richiesto, lo Stato non può impedire al gruppo religioso di professare liberamente la propria fede. La competenza per la stipulazione del “patto” è demandata per la confessione alla sua rappresentanza, mentre per lo Stato all’organo esecutivo (Governo).
Dibattuta è la posizione del Governo rispetto alla richiesta di stipulazione di un’intesa avanzata dalla rappresentanza religiosa. Sul punto sono intervenute sia le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che la Corte Costituzionale. Le Sezioni Unite consideravano la posizione dell’esecutivo di avviare o meno una trattativa, come espressione della “discrezionalità tecnica” del Governo, ed in quanto tale, sindacabile dal giudice amministrativo, dato che l’interesse fatto valere dalla confessione poggia su principi costituzionali; pertanto, il Governo, ricevuta una richiesta di intesa, ha l’obbligo di rispondere positivamente (responsabilità giuridica). Di diverso avviso sono i giudici della Consulta, che ritengono l’avvio discrezionale delle trattative in capo al Consiglio dei Ministri, all’interno dell’ambito di azione della “discrezionalità politica”, non sindacabile da parte di alcun giudice, bensì come responsabilità del Governo di rispondere dinanzi al Parlamento (responsabilità politica). In altri termini, il Governo può decidere o meno di intraprendere un percorso di stipulazione di intesa, andando solo incontro ad una responsabilità politica (cd. “caduta del Governo”) e non giuridica (applicazione di sanzioni).

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