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Ideologia e propaganda vettori del declino…l’opinione di Rita Faletti

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La Terra brucia. Un messaggio di tre parole dal significato inequivocabile. Breve ed efficace come vuole la propaganda che mira a veicolare un concetto in forma quanto più semplificata possibile, presentandolo come un postulato che non ammette obiezioni. “La Terra brucia”, “Tutti gli uomini sono uguali”, sono affermazioni che non hanno alcun senso se non vengono spiegate, eppure, proprio per questo, assumono curiosamente il valore di verità. Al di là che siano dimostrate o dimostrabili, in linea teorica suonano persino condivisibili. Ecco perché condivisione e consenso, il più ampio possibile, sono le finalità della propaganda. Religioni e partiti politici se ne servono con l’obiettivo di asservire le masse a un credo e a un’ideologia con la tecnica della persuasione coercitiva. Nell’Unione sovietica di Stalin, la propaganda ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione di un ideale di società rigorosamente egualitaria, perseguito attraverso la dittatura del proletariato. “Padre Stalin” risultava una figura mite e rassicurante, adorata da milioni di persone di cui lo spietato tiranno pianificò la morte. Anche il socialismo reale cinese, di impronta fortemente nazionalista, affida alla propaganda il compito di celebrare le ricorrenze più significative che ne hanno segnato la storia e di far conoscere al mondo i propri successi. La sconfitta della pandemia è stata un’occasione per evidenziare l’efficienza del regime e la disciplina e la coesione di un popolo, sottoposto a sacrifici indigeribili in qualunque democrazia occidentale. La propaganda ha funzionato nell’indurre al confronto due visioni del mondo e due opposti approcci e nell’esaltare Xi Jinping e la superiorità del modello del “fiore di mezzo”. Come strumento per la promozione di un’ideologia, la propaganda non è di esclusiva proprietà dei regimi illiberali. Anche il democratico occidente ne fa uso con intenti e risultati discutibili. Prendiamo il progetto ambizioso del Green deal, il grande piano per la transizione verde, sostenuto con devozione quasi religiosa dai gruppi ambientalisti, invocato dalle folle dei giovani adepti di Greta, accolto con entusiasmo dai progressisti europei. Se la battaglia per il clima è giusta, non si è tenuto conto però degli ostacoli da superare, dei tempi necessari al raggiungimento della decarbonizzazione totale, della sostituzione delle tradizionali fonti energetiche con le rinnovabili, del taglio degli investimenti nei sistemi energetici tradizionali che si ripercuote su una bassa capacità produttiva e di conseguenza su una riduzione delle scorte. E non si è previsto neanche che quei costi si sarebbero riversati in parte nelle bollette, il problema che oggi assilla cittadini e imprese, ma è provvidenziale per far capire che la propaganda (la Terra brucia), e i pregiudizi (le aziende inquinano) sono antagonisti dell’interesse comune. E siccome il presente trae origine nel passato, e gli errori non andrebbero ripetuti, i responsabili dell’attuale emergenza energetica, se fossero intellettualmente onesti, riconoscerebbero, oltre all’errore strategico e politico, il danno economico causato dall’ideologia anti crescita e la natura proditoria della propaganda populista. Mi riferisco ovviamente al Movimento 5S, il più attivo esponente del no a tutto. No alla Tav, no ai vaccini, no all’impresa, no ai termovalorizzatori, no all’estrazione, no alle trivelle, no al nucleare. A forza di no, ci siamo preclusi la possibilità di raddoppiare la produzione di gas naturale (4 miliardi di metri cubi al posto di 8) trascurando il fatto che l’Italia ne consuma 70 miliardi all’anno e ne importa il 40 per cento dalla Russia. Il Conte1 aveva autorizzato il rallentamento delle trivellazioni nell’alto Adriatico e al largo dell’offshore siciliano e il Pd, nel Conte2, si era coraggiosamente accodato. I tabù di un ambientalismo straccione, il paraocchi ideologico e il perbenismo astratto di chi non ha problemi di bollette, sono oggi una minaccia a ceramica e siderurgia, che rischiano la chiusura o la delocalizzazione, e un attentato ai portafogli degli italiani. L’emergenza energetica chiede capacità decisionali, risposte tempestive e un piano strutturale per il domani, ma, sopra tutto, apertura mentale. Von der Leyen ha inserito nella Tassonomia (la classificazione degli investimenti sostenibili in linea con il Green deal) il gas e il nucleare. La Germania, inizialmente sfavorevole, ci sta ripensando, la Francia è pronta ad avviare la costruzione di sei centrali di ultima generazione. E l’Italia? Pd, Leu e M5S sono contrari al nucleare. Sul gas, Letta è ondivago, “Non è la soluzione”. In cambio, chiede scelte rapide e coraggiose (agli altri), uno stop al caro bollette e un aumento nella produzione delle rinnovabili. E questa è l’inconcludenza ormai proverbiale dei cosiddetti progressisti, stretti tra l’incudine della sinistra massimalista e il martello dei grillini.

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