
In questi giorni si è sollevato un grande polverone in merito al rapporto tra la crescita esponenziale dei contagi e la paura di rientrare a scuola. E da più parti è emersa la questione del ritorno in DAD. Ma qui sorge spontanea la domanda: la didattica a distanza è la vera soluzione per arginare la crescita dei contagi? O è solo un palliativo a una situazione che è ormai degenerata?
Forse questo articolo potrebbe risultare cronologicamente lontano dalla settimana appena trascorsa nel corso della quale in Sicilia si è assistito a un allungamento delle vacanze natalizie di altri tre giorni al fine di verificare la situazione e capire come agire. Si è deciso così per un rientro centellinato che in alcuni casi ha portato i sindaci a fare ordinanze d’urgenza, decretando in alcune zone la chiusura mentre in altri casi si è assistito allo sciopero generale degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado.
Senza dubbio, il problema della crescita dei contagi sembrava qualcosa ormai lontana ma purtroppo si è nuovamente palesato nel periodo delle feste. Infatti, molti si sono sottoposti a tampone, chi a causa dei sintomi, chi per scrupolo, chi contatto di contatto, e così a catena è partita la lunga macchina del tracciamento oramai impossibile visto che omicron viaggia su una corsia preferenziale. La paura è tornata a primeggiare nelle vite di ciascuno: già a Capodanno in molti hanno cercato di correre ai ripari ma forse tutto questo non è bastato ad arginare la nuova variante, nonostante l’intervento del comparto medico-infermieristico che non è di competenza di chi scrive queste righe. L’obiettivo, al contrario, dello scrivente è quello di provare a leggere la situazione con uno sguardo diverso, con un fine più educativo e riflessivo.
Bauman in “Paura liquida” scrive: “la cosa che suscita più spavento è l’ubiquità delle paure; esse possono venir fuori da qualsiasi angolo o fessura della nostra casa o del nostro pianeta. Dal buio delle strade o dai bagliori degli schermi televisivi. Dalla nostra camera da letto o dalla cucina. Dal posto di lavoro o dalla metropolitana che prendiamo per raggiungerlo o per tornare a casa. Da coloro che conosciamo o da qualcuno di cui non ci eravamo nemmeno accorti. Da qualcosa che abbiamo ingerito o con cui il nostro corpo è venuto in contatto. Da quella che chiamiamo natura […], o da altri popoli”.
Dunque, stando a queste parole tutto è classificabile come possibile paura anche se in questo momento la paura maggiore rimane il Covid, il quale sembra resistere ad ogni arma che il mondo scientifico pensa e realizza per fronteggiarlo. E la scuola è tra la prime istituzioni a subire gli effetti della paura del Covid: l’istruzione in tempo di Covid non è una questione semplice, richiede maggiore sicurezza, attenzione e soprattutto una rinnovata passione che per paura rischia di affievolirsi. Non a caso, già alla vigilia dell’Epifania, che tutte le feste porta via, la scuola è tornata su tutti i titoli di giornali, ad essere argomento trend nei social e a intasare le chat di gruppo delle varie classi perché il busillis era solo uno: come si fa a tornare a scuola con tutti questi contagi? E da qui al vaglio numerose ipotesi, quali l’aggiornamento delle FAQ ministeriali, cioè le linee guida da adottare in caso di contagi, anche se da più parti tornava una sigla magica: DAD. E dunque il caos!
Il vero problema del rapporto contagi/scuola non si risolve semplicemente con il ricorso alla didattica a distanza o con la chiusura temporanea delle scuole, come se questa istituzione fosse fuori dal sistema mondo, e quindi inutile. Si risolve andando alla radice del problema, che tra le prime radici mostra la paura di non sapere come operare al meglio delle possibilità. A causa del Covid ci sono mille difficoltà: mancanza di personale, maggiore esposizione a possibili contagi, il nodo dei mezzi di trasporto, accesso facile per seguire le lezione in caso di DAD e tanto altro, che elencare in questa sede potrebbe risultare superfluo, perché ormai sono sotto gli occhi di tutti. L’altra radice del problema riguarda però quello che i ragazzi e le ragazze fanno dopo la scuola, che non è indifferente.
Certamente, non tutti durante le vacanze sono rimasti chiusi in casa a girarsi i pollici; sì c’erano i compiti per le vacanze ma gli studenti svolgono mille attività: dalle feste allo sport, passando per la passeggiata in centro e una pizza. Attività relazionali importantissime che sono fondamentali come è anche importante l’istituzione educativa e relazionale per eccellenza: la scuola.
Questo non vuol dire che bisogna privare i ragazzi e le ragazze di attività extrascolastiche ma non si può chiedere da più parti la DAD quando tutte le attività ricreative sono consentite in presenza e dove anche queste possono essere luogo di contagio come qualsiasi altra attività che prevede afflusso di persone.
Si è corso il rischio, in questo marasma scuola sì e scuola no, di mettere all’ultimo posto questa istituzione, come se fosse la vittima da poter sacrificare! A discapito di cosa? Molti potrebbero rispondere al fine di preservare la salute, senza dubbio, ma le altre attività la preservano? Cioè sono luoghi più sicuri della scuola? Perché se così fosse allora bisogna interrogarsi come mai la scuola non è vista in modo sicuro, anche se in realtà qualsiasi attività, in questo momento, cerca di far il possibile per mantenere i propri luoghi al sicuro.
La scuola è il luogo di formazione più importante, è un porto sicuro per tanti ragazzi e ragazze che hanno e possono vivere momenti di difficoltà in famiglia e la paura del Covid non ci può far smarrire questa funzione di sicurezza che la scuola svolge. Oggi le istituzioni scolastiche non sono più un luogo in cui apprendere solo nozioni, ma danno vita a tanti servizi che molte volte sono nell’ombra e che hanno bisogno di presenza, di legame, di relazione e che sono utili per i ragazzi e le ragazze che li frequentano.
La scuola avvia alla vita anche se in molti casi questo non si nota tanto. Bisogna lavorare il più possibile in presenza, come gran parte degli studenti richiedono, o con una DAD seria che non lasci indietro nessuno (se proprio questa deve essere la soluzione migliore!).
Oggi urge educare e formare: sì in questi due anni lo si è fatto ma tra mille difficoltà, anche se si è cercato di farlo al meglio delle proprie possibilità e lo sanno bene studenti e insegnati. Ma la DAD è sempre l’ultima spiaggia in cui approdare, perché i ragazzi non sono il futuro della società, sono il presente. Smettiamola di pensare che gli studenti siano il futuro, loro sono il presente di questo paese, si stanno formando per renderlo sempre più bello.
Dunque, la scuola si costituisce per essere un supporto in più alla crescita dell’autonomia svolgendo un ruolo sociale fondamentale: essa educa e forma al pensiero libero, all’essere autonomi e a fare esperienza del presente perché possa tornare utile in futuro. Il ruolo centrale qui lo giocano gli insegnanti i quali, oggi più che mai, fanno un mestiere di altri tempi: a loro il compito di dare una motivazione in più a milioni di ragazzi e ragazze!
Tuttavia, non è compito di chi scrive decretare se la scuola va fatta in presenza o a distanza: la decisione è ovviamente rimessa agli organi governativi e alle istituzioni scolastiche in base all’andamento dei contagi. Fatto sta che la DAD, senza dubbio, rimane una questione emergenziale e se serve la devono usare tutti per lavorare come si deve, e credo che il prof. Pappalardo abbia ragione a scrivere in suo articolo: “E, per esperienza diretta, meglio tutta la classe in DAD che uno o alcuni studenti solamente, sia per la didattica che per la dimensione relazionale.”