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La poesia di Adriana Gloria Marigo…note di Anna Maria Bonfiglio

Adriana Gloria Marigo - Astro Immemore, Ed. Prometheus 2020
Tempo di lettura: 2 minuti

Mi giunge, graditissimo, un accurato volumetto che raccoglie quarantacinque testi di Adriana Gloria Marigo, poetessa e finissima scrittrice di critica, con la quale mi sento in armonia di intenti. Astro Immemore mi si è rivelato alla prima lettura come una sequenza pittorica dalla quale emerge il valore morale della poetica dell’autrice e la suggestione visiva di panorami lacustri che mi hanno riportato al laghismo di Vittorio Sereni e alle sue raffinate stesure poetiche.
E la poesia di Marigo raffinata lo è, essenziale e sapienziale, declinata in forma epigrammatica e magistralmente accordata su tonalità filologiche che vanno dalla parola “praticata” al verbum cordis, dal lessico classico ai neologismi, funambolia che raramente ritroviamo nella poesia contemporanea.
La raccolta si apre con un testo che proprio del lago racconta la “chincaglieria”, laddove il termine assume il valore di ornamenti che ne arricchiscono la placida essenza. Il lago è il limite che circoscrive l’abbraccio, misura che implaga di quiete. Tutta la raccolta è d’altronde permeata da quella luce che perviene dalla natura e da i suoi elementi e che si congloba in un’aura armonica dalla quale resta fuori tutto ciò che del mondo sociale è scoria.
Marigo adotta per la stesura di questi testi un registro il più possibile impersonale, lo sguardo di un asettico occhio esterno che fotografa, tesaurizza e restituisce sulla pagina le immagini in forma di poesia, in una sorta di sequenza in cui l’io soggetto è solo il medium. Nel corpo della silloge raramente troviamo motivi di carattere personale se non nell’accoglienza di un ricordo o di una sensazione vissuta: “Ricordo una campagna/e una carrareccia, /di abbandono e di esilio/non sapevo l’incidenza,/il loro annodare e sbrecciare/la lunazione della nostalgia/il bagliore del ritorno in sogno”.
La memoria ha registrato due elementi oggettivi che il soggetto attivo mette in relazione a due esperienze di vita, l’abbandono e l’esilio, e il sogno di un ritorno. Alla luce, in cui tutto coincide, si coniuga l’umbratile presenza della terzultima stagione dell’anno, correlata al mese di ottobre che di essa coglie l’essenza del transito. “La luce che emoziona le foglie/abbandona la rotta luccicante/smarrisce la densità delle fronde//incorona d’imperfetto amore/cime di pioppi arditi, /l’impallidire dell’estate.” E ottobre viene nominato in molti testi con accezioni metaforiche e accostamenti sinestetici: ottobre fiammato – luce occidua d’ottobre – depreco ottobre – “ora l’equinozio d’autunno/colmerà di vaghezza incendiata/ ogni foglia – d’amaritudine pungendo/aereo il destino d’ottobre.” Ancorché “amaro” il passaggio è tuttavia necessario e salvifico: “Si tagliano rami opprimenti, /si lascia respiro di spazio/all’albero in canto rinascente.” L’albero chiede spazio, per rigenerarsi necessita sia fatto ordine tra i suoi rami ammalati e stanchi, ma interrate resteranno le radici che matureranno vita nuova. Ed è voto augurale l’immagine foriera di buona ventura: “Pensavo al pianeta che mi regge,/Giove//E giunsero-di solitaria eleganza/un cigno/e altri dèi minori volanti/sull’aperta lusinga del lago.” Nella mitica congiunzione Giove-cigno il perpetuarsi dell’istinto primordiale della ri-nascita.
La parola poetica di Marigo non sottrae e non aggiunge, permane, astro assoluto, sul filo di un sorvegliato equilibrio che definirei “sacrale”.

Anna Maria Bonfiglio

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