
Il Premio Nobel, Nelson Rolihlahla Mandela, fondatore dell’African National Congress, presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999 non andrebbe fiero della situazione politica e economica venutasi a creare nel Paese. Colpi di scena continui, con arresti e denunce penali per abuso d’ufficio, concussione, peculato, corruzione e appropriazione indebita di denaro, verificatesi nelle ultime settimane sono i capi d’accusa più eclatanti che stanno riguardando alcuni pezzi grossi del Congresso. Gli occhi sono puntati in queste ore sul Presidente A.N.C. Cyril Ramaphosa oggetto di una mozione di sfiducia che sarà votata a scrutino palese (per alzata di mano) il 3 dicembre dalla camera bassa del Parlamento, a capo di un partito che dispone di 230 seggi dei 400 dell’Assemblea nazionale. Il voto di sfiducia è stato chiesto dal partito all’opposizione l’African Transformation Movement, nonostante disponga di 2 soli seggi all’Assemblea. Ramaphosa è il Capo di Stato del Sudafrica dal febbraio 2018 impegnato a rilanciare la fiducia degli investitori nell’economia industrializzata dell’Africa in fase declinante, ma cercando soprattutto di riportare la legalità in un Parlamento profondamente corrotto, tra i quali spicca Ace Magashule, segretario generale dell’ANC, fuori su cauzione. Il suo predecessore, Jacob Zuma, è sopravvissuto a molti voti di sfiducia prima di essere estromesso dagli alleati di Ramaphosa nell’esecutivo dell’ANC, che credevano che gli scandali durante i nove anni del suo mandato stessero danneggiando la reputazione del movimento di liberazione. Secondo la costituzione sudafricana, una mozione di sfiducia al presidente, per passare, deve essere sostenuta da una maggioranza semplice nell’Assemblea nazionale. Il più grande partito di opposizione, l’Alleanza Democratica, ha detto di non sostenere la mozione del piccolo partito ATM. Mentre L’Economic Freedom Fighters, il secondo più grande gruppo di opposizione, non ha ancora fatto sapere se voterà o meno la mozione di sfiducia.
Tajani e Ramaphosa a Strasburgo nel 2018