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HUMANITAS…di Pierpaolo Galota. Abitatori e custodi del creato

Una delle notizie più cliccate e condivise in questi giorni è quasi certamente quella relativa al disastro ambientale che si sta verificando in Amazzonia, che ha ripercussioni su tutto il pianeta. Il mondo del web si è popolato di post, insta-stories, dove ognuno ha cercato di fornire il suo contributo per rendere noto quanto si stesse verificando.
È preoccupante quello che sta accadendo al polmone più grande della terra, ma è interessante il movimento e il vociare che si è creato intorno a questo grave avvenimento. In questa tragica situazione rincuorano le parole di Abraham Joshua Heschel il quale in suo discorso afferma: «L’uomo è più che mai disponibile ad associarsi nei momenti di miseria e di crisi» (A.J. Heschel, Grandezza morale e audacia di spirito, 366), è una espressione carica di speranza, perché fa comprendere come l’umanità non ha ostacoli naturali, ma solo ostacoli causati dalle scelte libere.
Ad oggi però «l’uomo moderno (occidentale) non solo ha dimenticato come stare da solo. Trova difficoltà anche a stare con i suoi simili. Non solo fugge da se stesso. Scappa persino dalla sua famiglia» (A.J. Heschel, Il canto della libertà, 57). Il fuggire, il non saper vivere bene con se stesso conduce inevitabilmente a compiere scelte sbagliate e dannose per sé e per chi ci sta intorno. Per poter garantire una continuità al nostro pianeta l’uomo deve ripartire da se stesso, deve riflettere sul suo essere attore, protagonista e custode della casa comune. Bisogna riscoprire il senso di meraviglia, per questo si deve alzare lo sguardo al cielo, comprendere la meraviglia che è intorno, stupirsi degli innumerevoli doni del Creatore e tornare a sperare in futuro a misura d’uomo. L’uomo che spera, è in grado di dire no all’ipocrisia che si nasconde nelle scelte dei potenti, è capace di vedere nell’altro un fratello da amare e salvare, nella natura un bene da preservare, custodire e donare alle future generazioni. I potenti hanno un ruolo importante e centrale, ma non sono i soltanto loro i responsabili di questo cammino, la responsabilità è di tutti per questo bisogna agire.
Su questa terra l’uomo non è nemico degli altri uomini, e nemmeno l’usurpatore di tutti i beni che la terra dona, l’uomo è l’attore responsabile, in qualsiasi punto del pianeta, spetta a lui edificare «l’era nuova del mondo», perché è giunta l’ora che «cessi la sosta nel deserto e si riprende la strada storicamente inevitabile che conduce Israele – cioè tutti i popoli della terra – verso le frontiere della terra promessa» (G. La Pira, Unità disarmo e pace, 95.), cioè verso la bellezza e non certamente verso l’inquinamento e la devastazione.
La tendenza moderna dell’uomo è quella di dimenticare e di non pensare agli errori commessi, questo però non è possibile se si vuole essere degni abitatori e custodi del creato. In questo periodo storico, non occorre solo fare grandi proclami, ma serve fare un preciso cambio di rotta, e far sì che la nave dell’umanità giunga al porto sicuro del bene comune, e così raggiungere la pace mondiale. Per fare tutto questo bisogna lasciare la comodità, urge cambiarsi d’abito e immettersi nel nuovo campo di lavoro. La terra sarà salva, l’umanità sarà salva, le generazioni che verranno avranno un futuro, se mettiamo da parte il rancore e l’odio, e soprattutto se non ragioniamo secondo la categoria dell’io.
Un importante input e suggerimento ad agire si trova in alcune frasi di Giorgio La Pira: «bisogna lasciare – pur restandovi attaccato col fondo dell’anima – l’orto chiuso dell’orazione; bisogna scendere in campo; affinare i propri strumenti di lavoro: riflessione, cultura, parola, lavoro, ecc., altrettanti aratri per arare il campo della nuova fatica, altrettanti armi per combattere la nostra battaglia di trasformazione e di amore. Trasformare le strutture errate della città umana; riparare la casa dell’uomo che rovina! Ecco la missione che Dio ci affida! […] La risposta è precisa: l’orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformarla, la società!» (G. La Pira, La nostra vocazione sociale, 96).
L’uomo deve trasformare la società, tutti devono sentirsi a casa. Non si può rimanere inerti, fermi e in silenzio, perché si presterà il fianco all’odio e alla violenza. L’uomo è costruttore di pace, e questo lo renderà degno abitatore e custode della terra, bisogna mobilitarsi per le scelte inevitabili, che danno vita e forza, e così l’uomo vivrà ancora per molto tempo facendo del bene, amando, pregando e sperando. Non è diventando disumani che si salverà il mondo, ma è diventando consapevoli che la terra è di tutti e non solo dell’occidente opulento.
Quello che oggi l’occidente vive, in particolare i problemi ambientali e l’emergenza migranti, sono elementi che fanno parte della stessa catena di male generata dall’avere sempre più a discapito di altri popoli indifesi.
Ogni istituzione deve giocare la sua parte, perché è in gioco la salvezza dell’umanità. Se ci sarà cooperazione, aiuto reciproco, comunanza di sapere, condivisione di gioie e dolori, si costruirà un futuro a misura d’uomo e il mondo vedrà le fiamme del male spegnersi perché ancora una volta la speranza vincerà sulle tenebre e l’umanità vivrà per altri 1000 anni ancora.

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