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Alla ricerca dell’immortalità: verso i 120, 150, 200 anni?…..l’opinione di Rita Faletti

Se si esclude l’immortalità dell’anima, tema centrale di tutte le grandi religioni, non solo quelle monoteiste, e tuttavia impossibile da provare, c’è una forma di immortalità che riguarda eccezionali esponenti dell’arte, della scienza, della cultura che, pur avendo lasciato il mondo dei vivi, continuano a farci sentire la loro presenza attraverso capolavori magnifici, scoperte sorprendenti, invenzioni geniali. E’ grazie ad essi che la nostra vita si è riempita di significati e di bellezza, è ad essi che si guarda e da cui si cerca di trarre insegnamenti e ispirazione. In questo senso, l’immortalità è stata raggiunta. C’è poi un’altra forma di immortalità, quella che interessa la cellula, la più piccola unità vivente della materia di cui sono costituite tutte le specie viventi. Finora irrealizzata e forse irrealizzabile, ma quella più ambita da chi non si rassegna alla decadenza e alla morte fisica. Per questa immortalità, c’è chi è pronto a ricorrere a qualunque strumento e a pagare qualunque prezzo. Anche a costo di fermare il respiro, interrompere il flusso sanguigno, congelare l’incessante corso del pensiero con un processo di ibernazione che arresta la vita. Fino a quando? Fino al giorno in cui la scienza non rimetta in moto il respiro, il flusso sanguigno, l’incessante corso del pensiero. Un atto di fede nel potere della scienza, non diverso da un atto di fede nell’onnipotenza di Dio. La scienza come religione e come sfida alla religione nell’esaltazione delle potenzialità umane. Il Satana di Milton sfida Dio ponendosi sul suo stesso piano, ma viene sconfitto e cacciato nel regno dell’oscurità. Dirà che è meglio comandare all’inferno che servire in paradiso. I limiti dell’uomo sono anche i limiti della scienza, primo e più importante limite l’umiltà, che autorizza a chiedersi: siamo sicuri che l’ibernazione sia un processo reversibile? La scienza può uccidere se non la si governa. E sempre a proposito dell’immortalità, la scienza e le tecnologie, come l’intelligenza artificiale, mirano al “transumanesimo”, che indurrebbe lo sviluppo di capacità che vanno oltre ciò che è fisicamente e mentalmente possibile ora. Coloro che lavorano in questo campo, ipotizzano un’aspettativa di vita fino a 120, 150, addirittura 200 anni. Lo storico Yuval Noah Harari, nel suo “Home Deus”, ha scritto che nel nostro secolo, il genere umano può seriamente scommettere sull’immortalità. Dello stesso parere il futurologo britannico Ian Pearson, il quale, rivolgendosi al giornalista de “The Sun” che lo stava intervistando, ha detto: “Se chi leggerà questo articolo ha meno di 40 anni, probabilmente non morirà”. Bisognerebbe però aggiungere quello che è facilmente intuibile: le probabilità aumentano quanto migliori sono le condizioni di vita, quanto più efficiente è il sistema sanitario, quanto più si cura la prevenzione. In breve: se sei ricco e vivi in un paese progredito e moderno. Diversi italiani sarebbero tagliati fuori. Allora, affiorano alcune implicazioni socio-economiche: il prezzo altissimo da affrontare se si vuole conquistare l’eternità, e la redistribuzione della ricchezza. Se già siamo preoccupati per la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, figurarsi per quanto tempo dovremmo accettarlo, se davvero l’immortalità fosse a portata di tasca. Ma qual è l’altra faccia della medaglia? I super ricchi rimarrebbero soli al mondo. Sai che noia! Sarebbero costretti a inventarsi qualcosa per far passare un tempo infinito e, a quel punto, invidierebbero i poveri.

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