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Oleificio Ruta. La storia della famiglia Ruta di Modica a Noto

Tempo di lettura: 2 minuti

Fonte: boniviri.com
Una domenica al Frantoio Ruta, dove Giorgio Ruta, maestro frantoiano di Castelluccio, in provincia di Siracusa, custodisce e tramanda l’antica arte dell’olio con un progetto coraggioso e visionario.

 

“Ciccio, porta pioggia domani?”. L’aria è tesa nel Frantoio Ruta, mecca dei ricercatori di oro verde adagiata sulle colline di Castelluccio, in provincia di Siracusa. “Sembra di sì, ma solo domani, papà”, risponde Ciccio con lo sguardo increspato. Un giorno di pioggia non basta, serve tanta acqua per portare a giusta maturazione le olive, mi spiega Giorgio Ruta, da quarantun anni alla guida del frantoio di famiglia. “È un’eccezione della natura, l’ulivo. È un albero egoista, si rifiuta di soffrire. Se piove poco abbandona i suoi figli a terra e l’annata è persa”. Così le macchine brillano, gli operai sono pronti a celebrare la messa dell’olio, ma in frantoio non si vede ancora nessuno.

 

 

Un’immensa cinta di olivi secolari avvolge il frantoio, qui sono nate e cresciute tre generazioni Ruta. Appese alle pareti bianche dell’edificio si vedono le fotografie di famiglia, bottiglie di ogni forma e colore si stringono strette per non precipitare giù dalle mensole. Attraverso i vetri l’ufficio dell’amministrazione dove lavora Graziana, primogenita di Giorgio, si intravede la pesante corona di medaglie che il frantoio ha conquistato negli anni. “Mio padre lo ha costruito nel 1953, ho trascorso la mia infanzia tra le macchine, le olive e l’olio. Allora la produzione era molto diversa, il lavoro in frantoio faticosissimo. Ho sentito subito che questa sarebbe stata la mia vita. Quando mi sono diplomato mio padre mi ha dato le chiavi: ‘adesso te la sbrighi tu, l’azienda è tua”.

 

Mentre parla, Giorgio annusa il vento e sfrega nervoso le grandi mani scure. Mi colpiscono il suo sguardo dritto, le idee nette. “Da subito ho scelto la strada della qualità. Ho imposto ai coltivatori regole molto rigide: tempi, modalità di raccolto, trasporto, tutto. Non ho accettato più compromessi: chi non le rispettava non entrava in frantoio. Il primo anno ho perso oltre il 50% dei clienti, è stato durissimo. Ma alla lunga queste scelte hanno pagato, dopo un primo periodo molto difficile abbiamo iniziato a crescere anno dopo anno. Oggi abbiamo seicento trenta clienti, le più grandi aziende della zona vengono da me per frangere e chiedermi consulenza. E insieme vinciamo premi e menzioni”. Una scelta che ha pagato, soprattutto ora che la competizione dei mercati esteri è diventata feroce.

 

Ciccio si alza, parla con gli operai, controlla le macchine e il tempo. Si risiede. Magrolino, lo sguardo svelto e le mani sapienti, anche se giovani, Ciccio è l’espressione di quella nuova generazione impaziente di imparare e con la voglia matta di innovare. Dai suoi movimenti, capisco che la famiglia Ruta l’olio ce l’ha nel sangue. “Ciccio vive per l’olio, trascorre l’intera giornata qui dentro. Senza passione questo lavoro non lo puoi fare. Il lavoro del frantoiano lo devi sentire dentro”. Dentro, Giorgio ha pure il suono delle macchine: “ho voluto la camera da letto di fronte al frantoio così posso sentirle e capire se tutto sta funzionando bene”.

 

Mi chiedo come in un’arte così antica ci sia ancora spazio per l’innovazione. “Li vedi quei due macchinari? Sono i frangitori, ne ho voluti due per non surriscaldare la pasta delle olive. Ho convinto il produttore a modificare la linea di produzione, oggi questa soluzione la vende anche agli altri frantoi”. Tecnologia ed esperienza, esperienza e tecnologia, continua a ripetere mentre guarda con affetto Ciccio che, nonostante nove anni di frantoio, il separatore, snodo cruciale del processo di trasformazione, non lo può ancora gestire da solo. “O ci sto io o il mio compare, bastano pochi istanti in più o in meno e l’olio non viene perfetto. Ciccio sta imparando veloce, presto potrà starci solo anche lui”.

 

Siamo interrotti da un signore anziano, cerca Giorgio. “Vive poco più in là, ogni tanto mi porta un pollo, io ricambio con l’olio, siamo una comunità molto coesa, per chi vive qui il frantoio è un punto di riferimento”. Qui, mi spiega, si fa comunità, ma anche cultura: “un tempo organizzavamo iniziative per raccontare l’olio. Non è stato il Covid a interromperle, ma la maleducazione di alcune persone che quando venivano in frantoio lasciavano una lunga scia di degrado e immondizia”. Un problema che, purtroppo, va oltre il frantoio e che, come tutti quelli che incontra, Giorgio prende di petto e risolve: “a Modica, con la nuova amministrazione di cui faccio parte, abbiamo rivoluzionato la raccolta dei rifiuti spezzando l’antica abitudine degli appalti. Abbiamo dato l’incarico alle aziende agricole locali, assegnando a ciascuna un pezzo di città. Loro risparmiano le tasse comunali, noi i soldi degli appalti. E così vinciamo tutti: il Comune, i cittadini, il Paese”.

 

Il tempo scorre veloce, le nuvole no. Non ci sono, loro, asciugate dal cielo. Giorgio, qual è la tua più grande soddisfazione? Con uno sguardo intenso indica il piccolo rubinetto piatto da cui sgorga l’olio nuovo. “Se l’olio che esce da lì ha la giusta sfumatura di verde vuol dire che abbiamo lavorato bene e io sono felice”.

 

Dobbiamo ripartire, scattiamo l’ultima foto: Giorgio e Ciccio sotto la scritta Ruta 1952. Ieri, oggi e domani di una bellissima storia che noi di Boniviri abbiamo la fortuna di scrivere insieme.

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