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L’ora legale Pillole di Costituzione a cura di Piergiorgio Ricca

Al fine di garantire una piena tutela della libertà di religione, è necessario esaminare l’art. 20 Cost.
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L’articolo in questione è composto da un solo comma che prevede: “il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”. Con tale norma, allo scopo di rendere effettiva la tutela del fenomeno religioso, la Costituzione riconosce la facoltà dei singoli e delle associazioni religiose di costituire enti a carattere ecclesiastico, prevedendo un esplicito divieto di discriminazione per gli enti religiosi, vale a dire ogni ipotesi di trattamento deteriore rispetto agli enti di diritto comune. Per ciò che concerne i soggetti interessati dalla disposizione dell’art. 20 Cost., la dottrina ritiene che essa sia rivolta a tutti gli enti “latu sensu” religiosi, appartenenti e/o collegati con la Chiesa Cattolica o con altre confessioni religiose, inclusi quelli privi di personalità giuridica, enti che non hanno un riconoscimento istituzionale e che, pertanto, non godono di un’autonomia patrimoniale perfetta (viene meno la separazione tra patrimonio dei membri e patrimonio dell’ente).
Il moltiplicarsi dei culti praticati nel nostro Paese ha posto in risalto l’esigenza di una generale disciplina sulla libertà religiosa.
I “Padri Costituenti” hanno pertanto voluto fare in modo che non vi fossero delle discriminazioni, neanche da parte dello Stato, rispetto alle associazioni od enti, solo ed esclusivamente per il loro fine di matrice religiosa, mettendo in risalto il principio di laicità.
La Corte Costituzionale, con riferimento al principio di laicità, che contraddistingue l’ordinamento repubblicano, ha evidenziato che tale dogma deve essere inteso «non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale».
Dal tenore dell’art. 20 della Carta Costituzionale si statuisce che la legge può prevedere la possibilità di emanare delle norme o discipline di favore, nei riguardi degli enti religiosi, soprattutto sul piano fiscale. Tali agevolazioni, ritenute legittime, non debbono, tuttavia, tradursi in distorsioni delle regole di uguaglianza e della concorrenza sul mercato, rispetto alle altre persone giuridiche, che operano all’interno dell’ordinamento giuridico. A proposito di ciò, un ente ecclesiastico può esercitare liberamente – nel rispetto delle leggi statali – anche attività avente natura commerciale; non per questo si modifica la natura di quell’attività, sicché le norme applicabili allo svolgimento della stessa rimangono quelle previste per le attività commerciali, senza che rilevi che l’ente la eserciti, o meno, in via esclusiva o prevalente. Ragionevole è la scelta del legislatore di prevedere dei benefici fiscali, solo in ragione alla attività di culto.
In fin dei conti, possiamo ritenere che la norma esaminata si è resa necessaria per attuare concretamente, ossia nei fatti, ciò che è stato previsto nell’articolo precedente, il 19.

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