di Giannino Ruzza
La Confederazione sindacale internazionale (ITUC) ha indicato per il quarto anno consecutivo il Brasile come uno dei 10 peggiori paesi al mondo in cui lavorare, dall’approvazione della riforma del lavoro durante il governo del presidente Michel Temer. Secondo uno studio annuale condotto dalla confederazione, dopo l’approvazione della riforma del lavoro, il sistema di contrattazione collettiva nel Paese è stato gravemente colpito, come dimostra la diminuzione del 45 per cento del numero di accordi sindacali portati a termine. Allo stesso modo, l’ente ha evidenziato le terribili conseguenze delle misure adottate durante il contesto epidemiologico del Covid-19 dal presidente Jair Bolsonaro, con un impatto diretto sul settore sanitario e sull’industria alimentare. Ha inoltre evidenziato il mancato rispetto delle misure sanitarie e della norme di sicurezza sul lavoro dei brasiliani. In un altro ordine, l’ITUC ha indicato che nel periodo analizzato vi sono state violazioni del diritto del lavoro, tra cui tagli agli stipendi ai dirigenti sindacali del Banco Santander, la dichiarazione di illegalità dello sciopero dei lavoratori metallurgici operato alla General Motors a São Bernardo do Campo, così come la riduzione dei benefit e il taglio dei posti di lavoro alla Nestlé. Va infine segnalato che l’organizzazione ha denunciato l’ aumento delle violazioni dei diritti del lavoro nel periodo da aprile 2021 a marzo 2022. Tra le nazioni più colpite dalle violazioni figurano, oltre al Brasile, il Bangladesh, la Bielorussia e la Colombia.