
La situazione politica in Italia è grave ma non è seria. Da un certo punto di vista è così. È grave lo spread che oscilla intorno ai 300 punti base, è grave la perdita di 34 mila posti di lavoro ad agosto, ancor prima che il Decreto dignità entrasse in vigore, segnale delle incertezze degli imprenditori, è grave il calo delle vendite al dettaglio, in settembre meno 0,8 per cento, è grave il passaggio dal 27 al 24 per cento dei titoli di stato italiani in mano agli investitori stranieri, è grave la stretta sul credito di 36 miliardi, significa che le imprese avranno meno risorse per investimenti e crescita, è grave il flop dell’ultima asta dei titoli di stato, non succedeva dal 2012. Come interpretare quest’ultimo dato se non come il sentimento diffuso che il governo non è ritenuto affidabile neanche dai risparmiatori italiani? Eppure, Lega e 5stelle non hanno perso consensi. Sono farlocchi i sondaggi? E’ una possibilità nell’era della flessibile obbligatorietà dei vaccini. Sono schizofrenici gli italiani? Un’ipotesi da non sottovalutare. Però, la forza dei fatti vince su sondaggi e propaganda quando si tratta del portafogli. I soldi si tengono nel conto corrente, in attesa di vedere quello che succederà, oppure si trasferiscono in paesi mentalmente stabili ed economicamente sicuri. Salvini e Di Maio appaiono imperturbabili: fingono di ignorare il problema. Se lo affrontassero con senso di responsabilità, smonterebbero la manovra di Bilancio e ne scriverebbero una diversa. Ma non possono farlo. Sono prigionieri di se stessi e l’uno dell’altro, oltre che di quell’elettorato al quale hanno promesso un mucchio di cose tra cui il reddito di cittadinanza e la pensione a quota 100. Chi pretende il reddito, convinto che gli spetti, anche se il paese va a rotoli non sente ragioni. Della serie: del paese me ne frego, intanto riempio il carrello della spesa e continuo a lavorare in nero. E se il reddito non me lo dai, addio. E addio a una bella fetta di elettorato. Non è possibile rimangiarsi le promesse e correre questo rischio. Così i due vice traccheggiano, e inscenano baruffe che servono a spostare l’attenzione su altri temi. Il Capitano, così è chiamato Salvini, e il suo compare Giggino, i due capi di cartapesta, fanno la voce grossa, ma non sanno come saltarne fuori. “L’Europa porti rispetto agli italiani”, tuona Salvini. “La manovra non si cambia” dice Di Maio. “Potremmo pensare a una rimodulazione” apre Conte. Che significa? Massimo Giannini ce lo spiega: “Conte è pugliese. E’ un po’ levantino nel suo eloquio”. Definizione di levantino: scaltro, furbo, truffaldino, e ancora: istrionico, affarista esperto, serpentino. Conte sta tentando di buggerare la Commissione europea? Sospetto ingeneroso nei confronti del presidente del Consiglio, alle prese con i dissidi interni al governo e alla ricerca di un compromesso, e tuttavia fedele al ruolo assegnatogli di custode della manovra per il popolo. L’ineffabile premier deve giocare la sua parte in commedia, che è quella di non scontentare nessuno per accontentare tutti, in perfetta continuità con il doppiogiochismo nostrano. Più educato di quello spaccone di Salvini, più dignitoso di quel vittimista di Di Maio, più elegante di entrambi nel linguaggio e nei modi, è colui sul quale grava la mission impossible di blandire la Commissione europea affinché chiuda un occhio sulla manovra sciagurata e, nel contempo, rassicurare i cittadini che la manovra si farà. Sì. Ma come e quando non si sa. I due eroi di cartapesta cominciano a prendere in esame la possibilità di qualche “rimodulazione”. Chi doveva fare la rivoluzione, preferisce una più modesta operazione di restyling, qualche ritocchino meno costoso ma esteticamente soddisfacente. Cambiare tutto per non cambiare niente. Ma sempre con la schiena dritta a 370 gradi come dice Barbara Lezzi, ministro per il sud. E poi, mi si dica, se la situazione è seria.