
In 392 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la guerra di Putin è all’incirca allo stesso punto di partenza. Gli attacchi continui e micidiali su tutto il territorio ucraino, a casaccio, per terrorizzare la popolazione, e mirati per colpire obiettivi civili a scopo genocidiario, hanno fatto di alcune aree terra bruciata. Si contano sulle dita di una mano le persone rimaste, anziani che sopravvivono tra le macerie non sapendo dove andare. Danni ingenti a strutture industriali e infrastrutture energetiche e all’ambiente, inquinamento del suolo e dell’atmosfera si sommano alla ferocia belluina scatenata contro le persone, compresi i bambini di cui 464 morti, 934 feriti e 367 dispersi. L’Assemblea dell’Onu ha approvato la risoluzione di condanna dell’invasione russa, ma senza alcun sostanziale risultato in quanto la Russia si avvale del diritto di veto per difendere la sua sconcia guerra, azzerando, di fatto, la possibilità del Consiglio di Sicurezza di esercitare la propria responsabilità primaria prevista dalla Carta delle Nazioni Unite: salvaguardare la pace nel mondo e intervenire nelle situazioni di conflitto. Per superare lo scoglio del diritto di veto, l’ambasciatore del Liechtenstein presso le Nazioni Unite ha proposto che le ragioni del veto siano spiegate giustificate e discusse davanti all’intera Assemblea dell’Onu. Se la cosa andrà in porto, come è probabile, il rappresentante della Federazione russa avrà qualche difficoltà a difendere la versione insostenibile del Cremlino sulla bontà dell’operazione speciale in Ucraina come soccorso militare russo a favore delle minoranze separatiste russofile del Donbas minacciate da Kyiv, in realtà sobillate da sabotatori di Mosca allo scopo di creare disordini e conflitti tra i civili per preparare l’arrivo delle forze russe. Sarà altrettanto arduo far passare per autentici i referendum farsa per l’annessione delle oblast di Luhansk e Donetsk alla Federazione russa, con i militari che entravano nelle case armati di mitra e obbligavano a votare e portavano via chi si rifiutava. Una sceneggiata dai risultati comici, come l’invio di osservatori “indipendenti” filo Mosca incaricati di attestare la regolarità del voto. Ormai nessuno più crede alla propaganda di un regime e del suo anacronistico capo, ossessionato dall’impresa impossibile di rifondare l’impero degli zar. A parlare sono i fatti. Fallito il blitzkrieg del 24 febbraio, le falle nell’organizzazione e nella catena di comando, la mancanza di addestramento adeguato, la carenza di cibo e medicinali, la mancanza di cure ai feriti, la scarsità di indumenti e equipaggiamento, il ricorso ora alla Wagner ora ai ceceni di Kadyrov, confermano le debolezze di un esercito figlio di un regime dove la corruzione è profonda e tentacolare e l’economia non è in grado di fornire una copertura adeguata all’intero sistema bellico. La battaglia per la conquista di Bakhmut va avanti da giorni. I russi hanno lasciato sul campo 30mila morti, vittime del tiro al bersaglio degli ucraini posizionati sugli edifici del versante occidentale della linea del fronte segnata dal fiume Bakhmutka. Dopo aver abbattuto i ponti chiave, i soldati di Kyiv hanno accolto con il fuoco le ondate successive di russi mandati allo sbaraglio. Qualora la Wagner riesca ad occupare l’intera cittadina di Bakhmut, avrà aperta la strada per Kramatorsk e Sloviansk per proseguire alla presa dell’intero Donbas. In 24 ore gli ucraini hanno respinto 100 attacchi e se avessero a disposizione subito i Leopard1 forniti da Danimarca, Germania e Olanda in arrivo in primavera, potrebbero contrattaccare. Intanto cresce l’isolamento internazionale della Russia, che oltre a una guerra che non è sicura di vincere anche a causa di un arsenale in rapida contrazione, in un anno ha visto morire 200mila tra soldati, ufficiali e generali, rifugiarsi in paradisi dorati per evitare il fronte i giovani che se lo possono permettere e morire quelli che provengono dalle regioni più povere ai margini della nazione, ha assistito all’emigrazione dei suoi figli migliori da un paese senza futuro, alla diminuzione dell’aspettativa di vita dei maschi di 6 anni, il 25 per cento degli uomini muore prima dei 55 anni , tra le cause l’abuso di alcol, ha visto le morti superare le nascite, raddoppiare i divorzi rispetto alla media dei paesi occidentali, ricorrere all’aborto più che in Occidente, aumentare i suicidi, scendere il pil pro capite a livello di un cittadino bulgaro. Eppure, Putin afferma che si devono difendere i giovani russi dal degrado dell’Occidente, dove le famiglie benestanti mandano a studiare i loro pargoli. Maria Zakharova, la portavoce del Cremlino, si è sposata a New York. Anche questo fa parte della smisurata ipocrisia russa. Ma Putin non può uscire dalla trappola che si è costruito. Non può permettersi di fermare questa guerra: non lo vogliono i falchi del regime, non lo vuole la tradizione popolare di amore manifesto per chi vince, qualunque sia il prezzo da pagare, e i russi hanno sempre pagato prezzi altissimi, e di segreta passione per i perseguitati, ma totalmente priva di pietà per i perdenti. La sconfitta sul campo sarebbe un’onta insopportabile, irreparabile la sconfitta sul piano reputazionale di un aspirante zar che ha commesso un imperdonabile errore di valutazione quando ha creduto che l’Ucraina si sarebbe consegnata al terzo giorno. Da lì è dipeso tutto il resto. L’esercito russo non è il Terzo Reich che senza sparare un colpo occupò l’Austria, la Russia di Putin non è la Germania di Hitler, di cui non possiede la determinazione, la disciplina, l’ordine e neanche il rigore. La Russia di Putin è un paese saccheggiato da uomini che si spacciano per funzionari dello Stato con la copertura del presidente, è una società con milioni di schiavi e una manciata di padroni, è il paese che preferisce i criminali comuni ai politici e cerca di trasformare questi ultimi in criminali “normali”. “Putin è un uomo colto”, ha detto Bergoglio, “andrò a parlare con lui se vuole. Ma là ci sono interessi imperiali, non solo dell’impero russo, ma degli imperi di altri paesi”. L’impero ottomano? L’impero asburgico? O l’impero americano? Nella Chiesa di Francesco non c’è posto per la chiarezza, né per la condanna all’aggressore. Il coraggio è una virtù, l’ambiguità un peccato.