Allo slogan “La solidarietà non si processa”, preferiamo “Solidarietà da esportare”. Slogan edificante coniato dai giovani dell’associazione Don Bosco 2000 di Piazza Armerina, impegnati ad aiutare i migranti nei loro Paesi di origine con progetti di sviluppo nei campi del turismo, dell’artigianato e dell’agricoltura.
Già operativo il primo importante progetto di cooperazione allo sviluppo avviato in Senegal titolato “Aiutiamoli a casa loro, davvero”.
Aiutare i migranti nelle terre dove sono nati si può. Si deve fare. Per il debito storico nei loro confronti e per il rispetto dovuto alla vita umana.
Questa la soluzione finale per sconfiggere i trafficanti di vite umane e spezzare la catena del dolore il cui primo anello parte da villaggi e paesi dell’Africa subsahariana, per agganciarsi alla terribile e lunga sosta nei lager libici e proseguire poi via mare, spesso tragicamente, verso le nostre coste.
Nella parte conclusiva della introduzione al mio “Mal di Mare” (2017), pubblicato da Armando Siciliano Editore, scrivo fra l’altro:
“Oggi siamo chiamati a fare fronte a una vera invasione. Inutile nasconderlo. La soluzione più semplice, più proficua, più umanitaria e più logica, dettata dal sacro, universale principio di sussidiarietà e cristiana fratellanza, sarebbe quella di aiutare i fuggitivi a creare lavoro e ricchezza nelle loro terre. Costruire ponti, non muri, dice Giorgio La Pira. Ma, alla luce degli intrallazzi di oggi, tra il rischio di costruire ponti con il cemento depotenziato e la possibilità concreta di aiutare questa povera gente nelle terre ove è nata, Giorgio La Pira avrebbe sicuramente scelto questa seconda opzione. Se nessuno dei potenti del mondo ha pensato ad oggi di realizzare un progetto virtuoso di questo tipo, evidentemente gatta internazionale ci cova”.
