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L’Osservazione dal basso di…. Direttore. La Temperanza: non un limite ma un atto di bellezza! Riflessioni a margine a proposito di monetine “rifiutate”

Sulla vicenda che in questi giorni ha visto coinvolto il sacerdote Mario Martorina, ho letto vari commenti che mi hanno lasciato molto perplesso, perché, come sempre accade, assumono il volto di processi mediatici. I commenti hanno stigmatizzato il gesto di monetine rifiutate(giudicato, giustamente, non evangelico), del presbitero, il quale ha avuto l’umiltà di scusarsi, ma coloro che hanno scritto commenti, si sono chiesti se i pensieri e le parole da loro espressi e scritti sono stati mossi da sentimenti evangelici? Credo che di fronte a tutto quello che è accaduto e si è detto e scritto, valga solo quanto annunciato da Gesù: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!”. Questo insegnamento evangelico è, per Gesù, la norma che deve guidare ogni azione ed ogni pensiero di chi professa la fede cristiana: vescovi, sacerdoti, fedeli laici, genitori, giovani, bambini, comunità religiose ed ecclesiali e, perché no, anche di coloro diversamente ispirati. Fatta questa premessa, desidero fare una riflessione su una virtù umana e cristiana spesso trascurata, ossia la Temperanza.
Il termine in sé ci riporta al verbo “temperare”, che significa disporre bene qualcosa per il suo uso: temperare, ad esempio, una matita è disporla in tutte le sue parti così da poterla usare bene.

“Tempera” o “tempra” è quel trattamento termico a cui si sottopongono le leghe metalliche o i cristalli, affinché abbiano una resistenza maggiore. A livello umano si parla anche di “temperamento”, che è la mescolanza delle doti di un individuo; si parla infatti di buono o di cattivo “temperamento”. Quando si fa riferimento al clima, spesso si dice che è “temperato”, ed esso è proprio delle regioni nelle quali il freddo e il caldo si accordano tra loro. Da qui comprendiamo il senso generale del termine “temperanza”, che è appunto la capacità di soddisfare con equilibrio e moderazione i propri istinti e desideri. Alla temperanza sono allora collegate molte altre virtù più facili da capire: dominio di sé, ordine e misura, armonia, equilibrio, autocontrollo; tutti atteggiamenti assai importanti.
La Temperanza, in greco Sōphrosynē, in latino Temperantia, nella società del nostro tempo è una virtù che necessita di essere riscoperta e di trovare concretezza nella vita dei cristiani. Proprio oggi che viviamo nel tempo dei “Vaffa…” mediaticamente enfatizzati, proprio in un tempo in cui ci lamentiamo di una società in cui sembra avere ragione chi urla, grida, aggredisce, cede al vilipendio e alla maldicenza lasciandosi travolgere da istinti irrazionali, passioni mentali, sessuali e corporee senza freni, occorre una presa di coscienza della virtù della temperanza , che è una virtù morale necessaria per una vita cristiana capace di testimoniare atteggiamenti evangelici quali il dominio di sé, l’ordine e la misura, l’ armonia , l’equilibrio , la moderazione e l’ autocontrollo, così da proporsi come segno per la costruzione di un vivere sociale più umano e solidale.
Nella tradizione occidentale, dal Basso Medioevo in poi, numerosi sono i simboli iconografici che raffigurano la temperanza: due brocche di acqua e vino, per indicare il bisogno di miscelare e moderare la fonte del piacere; le redini e la frusta: per indicare la necessità di agire con freno e anche sotto l’impulso di stimoli; l’orologio: per indicare che ogni azione o parola ha bisogno del tempo giusto per essere fatta e pronunziata, richiedendo pazienza e continenza; l’elefante: animale ritenuto di costumi temperanti.
Se il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1809 dice che “La virtù della Temperanza è la virtù morale che modera l’attrazione dei piaceri”, nella prospettiva della Rivelazione biblica essa si muove, però, in un orizzonte più ampio e diventa una meta spirituale, cioè un vero e proprio insegnamento sul cammino del discepolo che, vincendo sé stesso (il proprio io), va’ verso l’imitazione di Gesù Cristo, verso la somiglianza con Dio.
San Paolo, per esempio, raccomanda ai Galati: “Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal.5,24-25) Sempre San Paolo ai Romani dice: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno; non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri.” (Rm.13,12-14)
Colui che è alla sequela di Cristo non può vivere in balìa delle passioni e dei desideri, ma deve lasciarsi guidare dalla virtù temperanza, che non vuol dire essere buonista, sottomesso, quietista, mellifero e sdolcinato, ma agire con “discernimento” per fare ciò che è buono, lecito e giusto; il credente che vive la temperanza, deve, come Gesù, riunire nella sua persona, secondo la bella espressione di un autore francese, il Barreau, “l’equilibrio dei contrari”. Nei vangeli noi vediamo ,infatti, che Gesù è esigentissimo, ma è profon­damente comprensivo nello stesso tempo; insegna una morale altissima, ma non condanna le persone; è dedito a Dio, ma anche rivolto agli uomini; è uomo di preghiera ma anche di azione, è forte ma anche mite; tenero ma anche determinato e pronto ad alzare la voce.
Gesù, insomma, è una persona libera nei confronti di chiunque, e di tutte le tradizioni umane che non sono al servizio dell’uomo. Lo riconobbero gli stessi avversari per i quali, secondo le parole riferiteci dal Vangelo, Gesù è uno che “parla e insegna con rettitudine, e non guarda in faccia a nessuno; ma insegna secondo verità la via di Dio” (Lc 20,21s).
Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento ci sono, ancora, molti riferimenti alla temperanza intesa: a) come sobrietà: “Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri… noi invece che apparteniamo al giorno siamo sobri” (1 Ts 5,6.8). “Perciò cingendo i fianchi della vostra mente e restando sobri” (1 Pt1,13); b) come “dominio di sé, autocontrollo: “Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro…” (At 24,25); c) come castità, come un vivere con disciplina (1 Cor 7,9).
I desideri e le passioni non sono, tuttavia, virus infernali, perché Dio li ha dato come energie di vita; passioni e desideri, a volte, devono anche essere stimolati, perché l’uomo è più povero se vengono a mancare. Lo vediamo, ad esempio, negli accidiosi, negli anoressici, nei depressi, nei delusi, in coloro che non sentono più lo stimolo a vivere e ad agire. Ce ne accorgiamo anche quando notiamo la differenza che esiste tra chi studia con passione e chi lo fa solo per dovere; tra chi svolge il proprio lavoro con passione e chi lo fa solo per motivi di lucro.
Desideri e passioni devono, però, essere vissuti con sobrietà e moderazione perché se assorbono con una intensità tutto l’uomo, gli impediscono di ragionare. E se le ragione, anch’essa dono di Dio, non regola le passioni dell’uomo, queste rischiano di trasformarsi in forze selvagge che possono portarlo alla rovina. La virtù che conferisce all’uomo il potere sulle sue passioni è senza dubbio la temperanza, che ha proprio il compito di equilibrare le passioni, perché siano presenti nella sua vita come energie positive. La temperanza, dunque, tocca tutta la nostra vita quotidiana, e la tocca per renderla serena e capace di vero godimento, per renderla bella e armoniosa, e per sottrarla alla tentazione della sfrenatezza degli istinti, che è causa di nervosismo e che genera un’ottusità dei sensi togliendo la serenità e la pace.
Vivere , per i credenti, la virtù della temperanza è pertanto non un limite ma un atto di bellezza, perché impedisce agli istinti, lasciati liberi, di fagocitare tutto. Da qui l’esortazione del Siracide ( “Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando la passione del tuo cuore” (Sir 5, 2), e, ancora, l’invito di San Paolo nella lettera a Timoteo: “Non tormentarti la vita assecondando tutti i desideri”. E allora impariamo a non soccombere alla forza travolgente del nostro istinto: impariamo a vagliare le nostre scelte e il nostro comportamento con la ragione e la riflessione. Solo così possiamo incamminarci sulla strada dell’imitazione di Cristo.

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